Lo studio del trattamento dei giocatori d’azzardo problematici è relativamente recente. Solo negli ultimi anni si è visto un incremento significativo del numero di pubblicazioni in materia su riviste indicizzate, tuttavia restando argomento di minore rilevanza, di nicchia. Si comprende, quindi, che molti aspetti rimangono poco o nulla esplorati. Periodicamente, articoli di review e metanalisi fanno il punto sulla efficacia dei trattamenti, ad esempio Kraus et al. (2020) per quanto riguarda il trattamento farmacologico, Petry et al. (2017) per i trattamenti psicologici (ne abbiamo parlato anche qui), e Abbott (2019) per un punto complessivo.
Quest’ultimo Autore conclude la propria rassegna indicando quali priorità dovrebbe darsi la ricerca futura in tema di trattamenti del Disturbo da Gioco d’Azzardo (DGA): a) definire i trattamenti efficaci per sottogruppi di pazienti e pazienti complessi e/o comorbili; b) studiare i fattori che mediano l’efficacia dei trattamenti; c) studiare trattamenti combinati; d) realizzare follow up a lungo termine e studiare come prevenire efficacemente le ricadute. In altri termini ci sta dicendo che gli studi attuali non sono sufficienti per operare prese in carico a lungo termine con metodi e strumenti empiricamente testati. Molto viene ancora lasciato all’iniziativa del singolo operatore.
Benché i trattamenti cognitivo-comportamentali e gli interventi motivazionali abbiano mostrato di essere efficaci con differenti sottotipi di pazienti, l’elevato numero di drop out, le ricadute a distanza, e lo scarso livello di coinvolgimento nei trattamenti spingono gli operatori a cercare di diversificare e migliorare la qualità degli interventi offerti. Inoltre, a fronte della complessità presentata dalla maggioranza dei giocatori che chiedono un trattamento, l’applicazione di un singolo strumento terapeutico non appare sufficiente per una gestione del caso a lungo termine. Che fare quindi?
L’addiction
Già nel 2002, Petry (2002) aveva osservato che l’azzardo problematico aveva notevoli affinità con i quadri di dipendenza e aveva suggerito che i trattamenti per i disturbi da uso di sostanze potevano essere adattati per il trattamento dei giocatori. Ed inoltre, aggiungerei io, possono essere adattati per il trattamento di qualsiasi altra dipendenza comportamentale, IN ASSENZA DI INDICAZIONI PIÙ SPECIFICHE O FINO A PROVA CONTRARIA. Con quale logica? Sono tutti disturbi di addiction.
La fenomenologia clinica dei disturbi di dipendenza è costituita da diversi ordini di fenomeni: a) l’addiction; b) gli effetti specifici del tipo di consumo, sostanza o comportamento; c) conseguenze sociali, relazionali, legali, scolastiche o lavorative del consumo eccessivo; d) comorbilità psichiatrica, tratti temperamentali e di personalità; e altro ancora… Mentre l’addiction è un quadro trasversale a ogni forma di dipendenza, e definisce lo stato di asservimento patologico, ogni forma di consumo ha effetti specifici che diversificano, ad esempio, il fumatore di cannabis da un eroinomane o da un giocatore d’azzardo. Il termine inglese addiction deriva dal latino addictus, che nel diritto romano indicava il debitore insolvente che veniva dato in servitù al creditore affinché lo ripagasse del debito col proprio lavoro. Il sostantivo italiano derivato, dedizione, ha assunto una accezione differente, per lo più positiva, mentre l’aggettivo dedito mantiene l’originale significato in alcune espressioni, quali ad esempio dedito all’alcol, dedito al gioco d’azzardo, ma non in dedito agli studi, alla famiglia. Questo è il motivo per cui, a mio avviso, ha senso mantenere l’uso del termine inglese.
Trattare l’addiction e trattare gli aspetti specifici del tipo di consumo
È importante per il clinico tener separati il concetto di dipendenza, intesa come addiction, dagli effetti peculiari del tipo di consumo o sostanza: i rispettivi meccanismi sono dissociabili anche a livello neurobiologico (per es. addiction vs farmacodipendenza). Ma ancora più importante è avere chiara la distinzione tra strumenti terapeutici diretti al trattamento dell’addiction e strumenti terapeutici diretti specificamente all’oggetto di consumo. Facciamo qualche esempio.
Strumenti terapeutici quali la prevenzione delle ricadute, gli interventi motivazionali, gli interventi di gestione del craving, le terapie comportamentali basate sull’evitamento degli stimoli trigger, sono tutti orientati al trattamento dei fenomeni di addiction e sono trasversali ad ogni forma di dipendenza. Al contrario, l’uso di metadone, vareniclina, acamprosato, la terapia delle distorsioni cognitive sono dispositivi terapeutici specifici per gli oggetti di consumo. Anche altri strumenti terapeutici sono da considerarsi trasversali a tutte le dipendenze, sebbene a rigore non siano indirizzate al trattamento dell’addiction in sé, bensì di problematiche psicologiche comunemente presenti nei soggetti dipendenti, o almeno in alcuni sottogruppi. Ci riferiamo, ad esempio, al trattamento di rinforzo delle social skills, delle abilità di problem solving, del controllo emotivo, e così via. In generale, i trattamenti cognitivo comportamentali vengono pianificati assemblando sessioni che hanno obiettivi differenti, sia trasversali che specifici per tipo di consumo. L’operatore delle dipendenze ha pertanto un bagaglio culturale e tecnico che lo rende idoneo (e il più adeguato) ad affrontare anche forme di dipendenza inusuali.
A fronte di molteplici tecniche di intervento, in letteratura c’è una oggettiva penuria di indicazioni sulle strategie generali a lungo termine. Se da un lato le prove empiriche ci dicono cosa serve e cosa no nel breve termine, dall’altro la complessità di molti casi lascia gli operatori dell’azzardo apparentemente soli a decidere come organizzare una presa in carico che si prospetta duratura.
In realtà alcune indicazioni molto chiare, e già applicate nel mondo delle dipendenze chimiche, ci possono venire incontro.
I principi evidence based del NIDA (parzialmente modificati e integrati)
Il NIDA –National Institute on Drug Abuse– ha pubblicato nel 1999, e più volte ristampato e riveduto, un opuscolo riassuntivo dei principi evidence based per il trattamento delle addiction (NIDA, 2012). Benché la pubblicazione si riferisca alle dipendenze da sostanze, la maggior parte dei principi è indirizzata a trattare le problematiche di addiction, e quindi possono essere considerati trasversali, IN ASSENZA DI INDICAZIONI PIÙ SPECIFICHE O FINO A PROVA CONTRARIA. È importante ricordare questa avvertenza: è sempre possibile, pur se a mio avviso improbabile, che future ricerche relative al gioco d’azzardo problematico possano smentire uno o più principi. Già oggi qualcuno di essi non è applicabile nell’azzardo problematico in quanto indirizzati ad aspetti peculiari del consumo di sostanze. Pertanto, selezionando e adattando al gioco problematico i principi del NIDA, inoltre integrandoli con quanto già acquisito dalla ricerca, otteniamo quanto segue:
- il disturbo da gioco d’azzardo è un quadro clinico complesso, ma trattabile;
- il trattamento deve essere indirizzato ai molteplici bisogni della persona e non solo al gioco eccessivo;
- nessun singolo trattamento è appropriato per ogni giocatore;
- i trattamenti devono essere facilmente accessibili;
- l’utilizzo di farmaci (attualmente off label) deve essere riservato a casi particolari. La farmacoterapia è soprattutto indirizzata alla comorbilità, e deve essere associata ad altre forme di intervento terapeutico;
- il trattamento va valutato con continuità, e modificato quando necessario per garantirne l’adeguatezza rispetto ai bisogni e alle condizioni;
- la comorbilità con altri disturbi psichici o altre condizioni di dipendenza è frequente e va trattata adeguatamente in modo integrato;
- i trattamenti cognitivo comportamentali, incluso il counselling individuale, familiare o di gruppo, sono le forme di trattamento più comunemente utilizzate; tuttavia, sottogruppi di giocatori potrebbero trarre vantaggio anche da altri strumenti terapeutici;
- la sospensione del gioco d’azzardo è il primo stadio del trattamento e il soggetto va successivamente supportato nella prevenzione delle ricadute, nella riduzione dei fattori di rischio e nel potenziamento dei fattori protettivi; talora sono possibili solo obiettivi parziali o una riduzione del danno;
- l’aggancio e il trattamento non devono essere necessariamente volontari per essere efficaci, e possono essere rinforzati da cambiamenti nella famiglia e nell’ambiente;
- è cruciale la permanenza in trattamento per un tempo adeguato;
- l’astensione dall’azzardo va monitorata allo scopo di valutare l’eventuale ricomparsa di craving o comportamenti a rischio.
Ogni punto meriterebbe un commento approfondito, che tuttavia andrebbe oltre gli scopi di questo articolo. I principi del NIDA hanno il merito di suggerire anche una cornice organizzativa in grado di funzionare coerentemente con essi. Non viene dimenticato, naturalmente, che particolari sottogruppi (ad es. le donne che giocano) e singoli casi potrebbero richiedere decisioni che si discostano da quanto raccomandato. Ad esempio, potrebbe essere utile attivare moduli di trattamento differenti dalla CBT, come abbiamo discusso qui. Appare inoltre la chiara necessità di organizzare un adeguato modello di assessment, utile a valutare gli aspetti fondamentali sui quali costruire il progetto terapeutico personalizzato. Un punto di partenza per riuscire a mettere ordine e a sintetizzare tutti i dati essenziali potrebbe essere il modello patogenetico di Blaszczynski e Nower, che abbiamo descritto qui, qui, e qui.
Concludendo
Le conoscenze che si stanno accumulando sul gioco problematico vanno integrate con il sapere acquisito sulle dipendenze da sostanze. Gli operatori impegnati nel trattare i giocatori devono saper rinnovare, innovare, ma soprattutto adattare il proprio patrimonio di teorie e prassi. È necessario inoltre perseguire una coerenza logica tra le diverse fasi della presa in carico: accoglienza, assessment, trattamenti, sono tutte operazioni collegate tra loro, un percorso unitario seppur personalizzato e variabile nel tempo. Possiamo quindi strutturare i nostri programmi a lungo termine mettendo assieme quanto conosciamo sui trattamenti dell’azzardo problematico, i principi strategici del NIDA, e la presa in carico psicoterapica e farmacologica della comorbilità. Il compito successivo è di valutare i programmi attraverso follow up a distanza, ricordando che ciò che più interessa al clinico è cosa NON funziona.
I principi del NIDA originali sono disponibili nella sezione Altri Materiali di questo sito e, naturalmente, nel sito istituzionale del National Institute on Drug Abuse.
Comments are closed