Prima parte – descrizione del modello
Quali vantaggi possono essere ricavati dalla conoscenza del modello patogenetico di Blaszczynski e Nower (2002)? Come nasce il modello e perché è importante classificare i giocatori problematici in tipologie? Il modello è validato empiricamente? Come impostare l’assessment per definire la tipologia di appartenenza di un giocatore? Come interviene il modello patogenetico nella costruzione del progetto terapeutico? Iniziamo qui un percorso di approfondimento che cercherà di dare risposta a queste domande. Una serie di articoli ci permetteranno di comprendere e prendere dimestichezza con il modello clinico del disturbo da gioco d’azzardo (DGA) probabilmente più popolare, sebbene meno utilizzato nella pratica clinica di quanto meriterebbe.
Si è scelto di ridurre al minimo indispensabile la bibliografia per consentire una lettura più scorrevole e agile. Alla fine di ogni articolo si segnaleranno alcune letture raccomandate.
Eterogeneità dei giocatori problematici
Una classificazione tipologica è giustificata dalla presenza di gruppi eterogenei di giocatori che, pur avendo molti sintomi e comportamenti sovrapponibili, manifestano una disomogeneità di fondo che incide significativamente sul trattamento e sulla prognosi. L’eterogeneità dei giocatori è la regola ed è ben noto che non è possibile individuare un unico profilo prototipico di giocatore problematico. Come nelle altre dipendenze, persone molto diverse tra loro possono sviluppare comportamenti di consumo compulsivo e incontrollato. I principi generali di trattamento dei soggetti con addiction prevedono che il programma terapeutico venga confezionato su misura, sulla base dei bisogni di salute e della peculiare articolazione dei fattori di rischio e di resilienza che emergono dalla situazione specifica. Oltre a questi, nella costruzione di un programma terapeutico si deve tener conto di ulteriori innumerevoli elementi, molti dei quali sono conseguenze economico-sociali dell’azzardo e aspetti “di contorno” delle condizioni generali del paziente. Questi assumono rilevanza clinica in quanto hanno un peso significativo sulle scelte terapeutiche e sul decorso del disturbo.
La diagnosi nosografica ha uno scarso potere predittivo sulla prognosi e sul carico assistenziale che graverà sulla rete dei servizi. Al contrario, è l’insieme dei fattori personali, ambientali, relazionali, a influire sul successo del trattamento, in che misura lo si può ottenere e con quali costi. Appare pertanto quanto mai opportuno che i terapeuti abbiano un modello clinico di riferimento che li aiuti ad orientarsi e a ordinare gli elementi più rilevanti, e che li supporti nella diagnosi multidimensionale e nella scelta degli strumenti terapeutici più indicati.
Il Modello Patogenetico
Il Modello Patogenetico (MP) di Blaszczynski e Nower ha l’ambizione di integrare i fondamentali fattori di rischio di DGA secondo un’ottica trans-teorica e bio-psico-sociale. Esso delinea tre differenti percorsi patogenetici e, di conseguenza, descrive tre corrispondenti tipologie di giocatori problematici (Blaszczynski, 2000).
I tre percorsi hanno una radice comune rappresentata dalla esposizione al gioco d’azzardo e dalla emersione dei fenomeni cognitivi e comportamentali costitutivi dell’abitudine all’azzardo. Da questa radice si diparte una linea evolutiva di base sulla quale potranno innestarsi fattori complicanti di natura biologica e/o psicologica.
La radice comune e il primo percorso patogenetico
I fattori ambientali sono fondamentali per l’avvio del comportamento di azzardo. Il gioco deve essere disponibile e accessibile al soggetto, in termini di presenza sul territorio delle sale o punti gioco, in termini di orario, facilità e comodità nel raggiungerli. Il gioco online ha ovviamente parametri di disponibilità e accessibilità in parte differenti. Il concetto di accessibilità comprende anche altri fattori, quali l’economicità dei giochi (l’entità minima della scommessa) e l’assenza di eventuali condizioni selettive per l’entrata nelle sale. Al contrario di alcuni casinò, non solo le sale da gioco non frappongono criteri selettivi all’ingresso, ma offrono ai frequentatori diversi benefit, ad esempio la possibilità di fumare e consumare bevande alcoliche gratuite o a prezzi molto contenuti.
Altri fattori ambientali rilevanti sono la disponibilità di denaro, la pressione dei pari, la pressione mediatica e la pubblicità, la cultura locale o familiare normalizzante e favorevole alle scommesse.
La disponibilità dei giochi d’azzardo e la loro accessibilità rendono pertanto possibile e agevole il contatto con una o più forma di scommesse. Le prime esperienze di gioco possono avvenire per curiosità, imitazione o per altre motivazioni; tuttavia da queste prime prove può derivare la decisione di continuare o meno. Una certa fetta di popolazione non otterrà nessun rinforzo e nessun piacere. Alcuni addirittura proveranno fastidio nel subire una perdita di denaro. Altri invece saranno ricompensati dal provare piacere o eccitazione, associate o meno ad una vincita reale o percepita. Altri infine potrebbero sperimentare sollievo da una condizione emotiva penosa. Comunque sia, se il soggetto trova una qualche motivazione, può proseguire a scommettere con una certa frequenza, venendo così esposto alle conseguenze dirette dell’azzardo, essenzialmente: condizionamento e distorsioni cognitive.
Il condizionamento
I condizionamenti classico e operante sono legati sia al modello di erogazione delle vincite che alle caratteristiche strutturali del gioco e dell’ambiente in cui si gioca. Tali elementi trovano la massima espressione nei dispositivi elettronici (slot-machine e VLT) e nelle sale dedicate ad ospitarli, tuttavia ogni gioco d’azzardo moderno e rapido ha la capacità di rinforzare la ripetizione dei comportamenti di consumo mediante meccanismi di condizionamento. Essi facilitano il consolidamento della abitudine all’azzardo e dei comportamenti di gioco. Questi fenomeni, in associazione con altri elementi, possono costituire l’ossatura fondamentale della perdita del controllo. Rimando alla monografia della Dow Schüll (2014) e al lavoro di Delfabbro (2014) per approfondire ulteriormente questo importante argomento.
Le distorsioni cognitive
L’incremento degli errori cognitivi e del loro peso sul piano comportamentale è un altro elemento costitutivo che facilita l’acquisizione dell’abitudine all’azzardo. I pensieri erronei sono rappresentati da idee e convinzioni che per lo più rimangono sottotraccia e non vengono espressi apertamente se non li si indaga espressamente. Il nucleo centrale degli errori cognitivi è rappresentato da convinzioni sulle proprie capacità di predire un esito favorevole o meno della scommessa (controllo predittivo), convinzioni sulle proprie abilità o qualità atte a modificare a proprio favore l’esito delle scommesse (illusione di controllo), idee esplicative erronee dei motivi che hanno portato alla perdita e fallimento della scommessa (distorsioni interpretative). La relazione tra errori cognitivi e gioco d’azzardo problematico è bidirezionale: da un lato le distorsioni cognitive facilitano l’avvio e la persistenza dei comportamenti di azzardo, dall’altro l’esposizione agli eventi casuali stimola la creazione di “teorie” e “modelli” infondati sulla natura della casualità, sulle probabilità e sulle regole alla base dei giochi (Leonard & Williams, 2016).
La rincorsa delle perdite (chasing)
Se i due precedenti elementi rappresentano, secondo un’ottica cognitivo comportamentale, i fattori eziologici fondamentali, in realtà altri elementi sono necessari per l’avvio di una vera e propria perdita del controllo, soprattutto la rincorsa delle perdite (chasing), ovvero la spinta a tornare a giocare per rifarsi delle perdite precedenti. Essa comporta l’avvio di un circolo vizioso in cui la frequenza e l’entità dell’azzardo si fanno via via maggiori. La rincorsa delle perdite è un sintomo precoce del DGA ed è presente anche in molte condizioni di gioco problematico non ancora diagnosticabili come dipendenza propriamente detta.
Questo primo percorso patogenetico (PP1) non considera altri elementi che sul piano clinico possono essere rilevanti. Ad esempio tratti narcisistici di personalità sono frequenti nei giocatori, e così pure una competitività talora esasperata. Questi elementi ovviamente facilitano e rinforzano l’effetto dei fattori eziologici precedentemente descritti che sono di per sé necessari e sufficienti per arrivare a condizioni di azzardo problematico o patologico. Il PP1 è caratteristico di giocatori che non manifestano particolari complicazioni o ulteriori fattori psicopatologici con valenza causale. Sono soggetti che, benché abbiano sviluppato un disturbo da gioco d’azzardo, appaiono per altri versi “normali” (Blaszczynski, 2000). Ciò non esclude la presenza di sindromi affettive (ansia o depressione) o di abuso di alcol (e meno frequentemente di altre sostanze), tuttavia esse sono per lo più secondarie alle problematiche azzardo correlate oppure, nel caso dell’alcol, legate a stereotipi culturali e abitudini familiari. Nei soggetti di questo primo gruppo essi non hanno un valore eziologico.
Il secondo percorso patogenetico
Il secondo percorso patogenetico (PP2), e come vedremo anche il terzo, si innesta sulla “via maestra” rappresentata dalla sequenza di eventi che abbiamo descritto sopra. Ciò accade quando il soggetto presenta una vulnerabilità emotiva. In questo caso elementi psicopatologici, ma non solo, assumono rilevanza causale nel facilitare l’avvio di una abitudine, prima, e successivamente di una dipendenza. Il termine “vulnerabilità emotiva” ha una accezione volutamente ampia e generica. Esso infatti non si limita ad indicare la presenza di una ben definita comorbilità psichiatrica primaria; un ruolo importante può essere rappresentato anche da problemi e/o abusi patiti in età infantile o anche successivamente, problemi relativi alle abilità sociali e di vita (life skills), tratti problematici di personalità, ridotte capacità di fronteggiamento di fronte ad eventi della vita. In tutti questi casi al processo evolutivo già descritto si sovrappone un potente rinforzo negativo consistente nell’ottenimento di un sollievo da stati d’animo negativi legati ai fattori di vulnerabilità emotiva. L’effetto è ottenuto attraverso un cambiamento dell’umore e il restringimento del campo della coscienza (impropriamente definito come dissociazione) indotto da giochi rapidi e ripetitivi, come ad esempio gli apparecchi elettronici, le lotterie istantanee o il bingo. Il gioco assume una chiara valenza di modulazione emotiva e di saturazione di bisogni psicologici.
In questi casi sono comuni la familiarità per gioco eccessivo e/o per disturbi psicopatologici, e l’abuso di alcol o altre sostanze.
Il terzo percorso patogenetico
Il terzo percorso patogenetico (PP3) rappresenta pure esso, così come il PP2, una condizione in cui una variabile personale del soggetto va ad innestarsi e a complicare l’evoluzione di base. La caratteristica principale del PP3 è l’impulsività, specie quando associata a tratti antisociali della personalità. L’impulsività è un costrutto complesso (Bellio, 2016) che sottende svariate dimensioni, tra cui: la reazione impulsiva a corto circuito, l’instabilità attentiva, la scelta irriflessiva che non considera attentamente le conseguenze delle decisioni, la difficoltà a bloccare un comportamento già avviato, la ricerca di sensazioni sempre nuove o forti, la pulsione ad agire sotto la pressione di stati d’animo negativi (rabbia, ansia, depressione, noia) o positivi (euforia). L’impulsività può essere a sua volta un sintomo trasversale a molte condizioni psicopatologiche. Più caratteristica del PP3 è l’impulsività che osserviamo in personalità antisociali, giovani con disturbi della condotta, soggetti giovani o adulti con deficit d’attenzione e iperattività (ADHD). In questi casi l’impulsività è una caratteristica preminente. Secondo il MP nel terzo percorso vi è una forte componente biologica e genetica, tanto che i soggetti appaiono (pluri)problematici sin da giovanissimi. Il PP3 non è del tutto separabile dal PP2, esistendo ampie aree di sovrapposizione e di comorbilità associate. Il rapporto tra gioco problematico e impulsività è bidirezionale: non solo quest’ultima rappresenta un fattore predittivo di futuro sviluppo di gambling problematico, ma in più l’azzardo può a sua volta incrementare i livelli di impulsività. La familiarità per molteplici problemi (psicopatologia, alcolismo, DGA, dipendenza da droghe) è frequente.
Caratteristiche dei giocatori nei tre sottogruppi
I giocatori condizionati nel comportamento
I giocatori eccessivi del primo gruppo (PP1) sono esenti da rilevanti psicopatologie primarie con valenza eziologica. Generalmente presentano una situazione meno grave, il che non significa necessariamente che non abbiano avuto perdite economiche rilevanti. Di solito hanno una famiglia che li sostiene, sono più motivati al trattamento e la loro compliance è generalmente buona. Spesso l’abitudine alle scommesse è iniziata in età adulta e possono essere sia di sesso maschile che femminile. Non mostrano particolari intoppi nella vita personale, scolastica e lavorativa. Nel caso di familiarità per gioco problematico, questa sembra essere stata tramandata sul piano culturale, essendo assenti elementi predisponenti di natura genetica. Il condizionamento e gli errori cognitivi rappresentano i fattori causali principali. I pazienti condizionati solitamente si avvantaggiano di trattamenti non particolarmente invasivi e di durata relativamente breve. La prognosi, rispetto agli altri due sottogruppi, è migliore.
I giocatori con vulnerabilità emotiva
I giocatori del secondo gruppo (PP2) presentano comorbilità psichiatrica, soprattutto nell’area dei disturbi dell’umore, d’ansia, e dei disturbi di personalità. La presenza di disturbi psicotici è meno diffusa ed è ancora poco studiata. Pur se meno frequente, è probabile che anche livelli di azzardo più limitati possano incidere negativamente sulle condizioni cliniche generali di pazienti schizofrenici gravi, ed inoltre possono manifestare rapide accelerazioni verso livelli più severi di azzardo. L’abuso di nicotina, alcol e altre sostanze è la forma comorbile più frequente nei giocatori. Generalmente la comorbilità comporta un aggravamento della situazione clinica in ambedue le aree. Pur in assenza di una definita comorbilità psichiatrica, i giocatori vulnerabili emotivamente presentano una storia difficile e dolorosa, con eventi della vita che possono riguardare sia il passato remoto e il periodo dello sviluppo, sia un passato recente, con problemi di adattamento e scarse competenze di fronteggiamento e problem solving. Ciò vale anche a fronte di eventi normali come il pensionamento o la perdita del lavoro, un lutto, difficoltà familiari, la perdita del ruolo sociale (ad esempio la cosiddetta sindrome del nido vuoto), l’invecchiamento.
I giocatori del secondo tipo hanno iniziato a giocare eccessivamente in età adulta o avanzata e possono essere sia maschi che femmine (la maggior parte delle donne che gioca eccessivamente appartiene a questo tipo). La presenza di psicopatologia spesso si associa a una importante impulsività, caratteristica presente in molti disturbi psichici. La motivazione al trattamento e la compliance sono variabili e dipendono molto dalle condizioni psichiche e dal supporto esterno. I trattamenti naturalmente sono indirizzati sia ai problemi di gioco che alla comorbilità e sono impegnativi, di solito di lunga durata, e dalla prognosi incerta.
I giocatori impulsivi antisociali
I giocatori del terzo gruppo (PP3) sono generalmente i più gravi. L’impulsività e, se presenti, i tratti antisociali rendono il soggetto poco incline e motivato al trattamento. La compliance è scarsa, e i trattamenti ottengono minori risultati. Le ricadute sono più frequenti e così pure i drop out precoci. È comune l’associazione con una qualche patologia psichiatrica o con l’abuso di sostanze, sia legali che illegali. I livelli di funzionamento sono per lo più bassi, con frequenti fallimenti scolastici e lavorativi, difficoltà nelle relazioni e conflittualità in famiglia. L’avvio del gioco d’azzardo è molto precoce, anche in minore età. Si tratta quasi esclusivamente di giocatori di sesso maschile. La problematicità manifestata da questi soggetti va oltre quella correlata all’azzardo, essendo la risultante di forti difficoltà di adattamento agli eventi e alle relazioni. In ogni caso mancano ricerche relative all’impatto dell’impulsività con alti livelli di funzionamento sulla motivazione al trattamento, compliance e prognosi (MacCallum et al., 2007). Nei soggetti a basso livello di funzionamento la prognosi resta severa.
Nel prossimo articolo discuteremo l’importanza del modello patogenetico nella pratica clinica.
Bibliografia e letture raccomandate
Bellio, G. (2016). I mille volti del giocatore d’azzardo impulsivo. Dal Fare al Dire, 3, 5-14.
Delfabbro, P.H. (2014). Behavioral Risk Factors in Disordered Gambling and Treatment Implications. In D.C. S. Richard, A. Blaszczynski & L. Nower (Eds), The Wiley-Blackwell handbook of disordered gambling, John Wiley & Sons, Chichester, UK.
Dow Schüll, N. (2014), Architetture dell’azzardo. Ed. Ital. Luca Sossella Editore, 2015, Bologna.
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