Articolo molto lungo e tecnico, destinato agli operatori professionali. Per facilitare la lettura se ne consiglia la stampa.
Introduzione
L’uso problematico di videogiochi è conosciuto da almeno 40 anni, tuttavia solo in tempi recentissimi i Servizi dipendenze (Serd) sono entrati in contatto con questo fenomeno. Anche l’interesse accademico appare essersi maggiormente sviluppato negli ultimi anni, mostrando un progressivo incremento del numero di studi pubblicati annualmente. Ciò nonostante, esso è ancora ampiamente sotto-studiato e mancano adeguate conoscenze su diversi aspetti cruciali. A tutt’oggi, la stessa definizione diagnostica e, di conseguenza, gli strumenti di assessment non sono stati ancora determinati in modo condiviso dagli studiosi. Pur tenendo conto delle discussioni ancora aperte, riassumiamo qui gli elementi fondamentali della clinica del Gaming Disorder (GD) con lo scopo di fornire agli operatori dei Servizi dipendenze una base essenziale per diagnosticare, valutare e trattare i videogiocatori.
Diagnosi
Attualmente non esiste consenso unanime tra esperti sui criteri diagnostici e sulla stessa denominazione del disturbo da videogiochi, che non va confuso con il gioco d’azzardo online. Entrambi i principali sistemi diagnostici (DSM e ICD) includono il disturbo, ma in termini differenti l’uno dall’altro. Il DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) (APA, 2013) ha per primo introdotto l’Internet Gaming Disorder, con 9 criteri diagnostici specifici, nel capitolo dei disturbi che richiedono ulteriori studi. Tale scelta è stata confermata nel più recente DSM-5-TR del 2022, esprimendo con ciò una posizione di prudente attesa (APA, 2022).
Al contrario, l’ICD-11 (International Classification of Diseases) (WHO, 2022) ha inserito a pieno titolo il Gaming Disorder tra i disturbi di dipendenza comportamentale. Tale decisione non è stata accolta in modo unanimemente favorevole, innescando un ampio dibattito tra esperti. Alcuni tra loro, infatti, hanno giudicato prematuro procedere al riconoscimento ufficiale del GD come entità nosografica di interesse sanitario, a loro parere non essendoci ancora un adeguato supporto da parte di studi e osservazioni cliniche. La principale preoccupazione emersa è di procedere verso una eccessiva medicalizzazione di problemi personali e sociali dovuta a una imprecisa e ancora insufficiente individuazione dei confini tra patologia e normalità. Tale preoccupazione non si limita al solo Gaming Disorder, ma anche, e soprattutto, alle altre ipotetiche dipendenze comportamentali (Bellio, 2022a).
Recentemente, un gruppo di esperti ha convenuto che i criteri DSM-5 più significativi sul piano diagnostico sono: a) la messa in pericolo di opportunità e relazioni; b) la perdita del controllo; c) l’uso continuo nonostante i problemi; d) la riduzione degli interessi differenti dal gioco. Altri, al contrario, sono stati giudicati inidonei a distinguere adeguatamente la patologia dalla normalità, in particolare: le menzogne, la tolleranza e la funzione di regolazione emozionale da parte del videogioco. Parallelamente, lo stesso gruppo ha riconosciuto la rilevanza di tutti i criteri dell’ICD-11 e inoltre ha suggerito l’inclusione di un ulteriore criterio relativo alle conseguenze negative sul piano sanitario (Castro-Calvo et al., 2021). In ogni caso, benché l’ICD-11 si dimostri più conservativo, i due sistemi diagnostici mostrerebbero una elevata correlazione sulla popolazione clinica (Higuchi et al., 2021), vale a dire sulle condizioni più gravi. Va quindi sottolineato che, in futuro, differenze più significative potrebbero essere rilevate a livello di ricerca epidemiologica sulla popolazione generale.
La tabella 1 riassume e confronta i criteri diagnostici del DSM-5 e dell’ICD-11.
DSM-5 INTERNET GAMING DISORDER | ICD-11 GAMING DISORDER |
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Uso persistente di Internet per giocare, con conseguente significativa compromissione come indicato da almeno 5 dei seguenti criteri nell’arco di 12 mesi: | Persistente o ricorrente comportamento di gioco online oppure offline che provoca significativo disagio e compromissione sul piano personale, familiare, sociale, delle performance, o in altre aree di funzionamento del soggetto, per un periodo prolungato (ad es. 12 mesi, o meno in caso di elevata gravità). |
Preoccupazione riguardo ai videogiochi | |
Astinenza – ansia, irritabilità, depressione quando il gioco viene impedito | |
Tolleranza – una sempre maggiore quantità di tempo viene impiegata per giocare | |
Tentativi infruttuosi di limitare il gioco | Compromissione della capacità di controllare il gioco (avvio, frequenza, intensità, durata, conclusione…) |
Perdita di interesse per hobby e fonti precedenti di divertimento | Crescente priorità del gioco rispetto ad altri interessi e attività quotidiane |
Uso continuativo del gioco nonostante la consapevolezza di problemi psicologici e sociali | Continuazione e intensificazione del gioco nonostante la presenza di conseguenze negative |
Menzogne sul tempo passato a giocare | |
Gioco come modalità di evitamento di stati d’animo negativi | |
Messa in pericolo di relazioni, lavoro, studio, opportunità |
Sul piano della diagnosi differenziale vanno esclusi i comportamenti di gioco d’azzardo e gli altri utilizzi di Internet (social, pornografia, eccetera). Da escludere, inoltre, il videogioco eccessivo come espressione della disinibizione in corso di un episodio maniacale o ipomaniacale. La diagnosi differenziale più delicata è quella tra il GD e il comportamento di videogioco intensivo, ma non patologico. Gli elementi principali per la discriminazione sono l’assenza di una compromissione significativa del funzionamento dell’individuo, l’assenza di sintomi di perdita del controllo, e l’assenza di disagio a fronte della necessità di sospendere il gioco (da considerare però che la sospensione potrebbe causare un danno in termini di livello raggiunto nell’ambito di una competizione). Talora il videogioco intensivo non patologico può comunque costituire un elemento di rischio per la salute fisica o psichica e richiedere pertanto attenzione sanitaria. In questi casi l’ICD-11 prevede una specifica codifica (Hazardous Gaming).
La diagnosi con ICD-11 prevede infine la specificazione della prevalenza di gioco online oppure offline. Comunque, anche il DSM-5, nonostante la denominazione includa il riferimento a Internet, comprende l’uso offline di videogiochi.
Epidemiologia
Le indagini epidemiologiche relative al GD risentono della mancanza di consenso sulla diagnosi del disturbo e sui criteri per distinguere il gaming patologico da quello non patologico. Ciò ha prodotto la proliferazione di strumenti di rilevazione epidemiologica eterogenei per quanto riguarda gli item e i valori di cut-off. Alcuni studi epidemiologici, inoltre, non hanno distinto il GD dall’uso problematico di Internet (altro concetto generico ancora in attesa di essere operazionalizzato in modo convincente), con il risultato di ottenere prevalenze assai elevate e non comparabili con i dati ottenuti in altri studi più puntuali. Di fatto, oltre a una rilevante variabilità con oscillazioni anche di un ordine di grandezza e più, i valori di prevalenza maggiori appaiono del tutto “fuori scala” e non comparabili a quelli di altri quadri morbosi simili, come ad esempio il Gambling Disorder, il disturbo ossessivo- compulsivo o la dipendenza da sostanze (Stevens et al., 2020).
Diversi studi hanno confermato che il GD è più comune tra i maschi, con un rapporto di 2.5/1 rispetto alle femmine, e tra gli adolescenti rispetto agli adulti. Maggiori prevalenze sono state ottenute in Oriente (Giappone, Sud Corea, China); ciò potrebbe essere indicativo di differenze culturali, ma forse anche di problemi relativi agli strumenti di misurazione, generalmente sviluppati e validati su popolazioni occidentali. Infine, altre fonti di distorsione dei dati derivano dalla campionatura (campioni piccoli o non casuali) e dalla metodologia degli studi.
Una recente review e metanalisi (Stevens et al., 2020) ha stimato la prevalenza del GD in 3.05% della popolazione (IC=2.38-3.91%), confermando tuttavia una significativa eterogeneità tra i 53 studi revisionati. Sulla base degli studi più robusti sul piano del campionamento, la prevalenza scende a 1.96% (IC=0.19-17.12%). Tra i maggiori fattori di eterogeneità, lo strumento di misurazione utilizzato e il relativo cut-off sono responsabili del 78% della varianza, confermando che la diagnosi standardizzata è essenziale per ottenere dati affidabili. Sul piano geografico, pur confermando la già nota maggiore prevalenza nei Paesi asiatici, non si esclude la possibilità di distorsioni derivanti da strumenti e campionamento. La metanalisi di Stevens e Colleghi osserva infine una crescita del valore di prevalenza nel corso degli ultimi 10 anni. Tuttavia, anche in questo caso, non possono essere esclusi fattori legati alla adozione dei criteri DSM-5 che sono oggetto di critica da parte di molti Autori.
Una metanalisi ancora più recente (Kim et al., 2021) di fatto conferma quanto riportato da Stevens e Colleghi (2020): la prevalenza è stimata al 3.3% (8.5% nei maschi, 3.5% nelle femmine), ma si riduce al 2.4% prendendo in esame solamente gli studi con campioni rappresentativi. Pur confermando una maggiore prevalenza nei Paesi dell’Estremo Oriente, anche Kim e Colleghi non escludono distorsioni dovuti a fattori culturali e metodologici.
Diffusione del Gaming e tipologia dei videogiochi
Il rapporto annuale di IIDEA (2024), l’associazione di categoria dell’industria italiana di videogiochi, riferisce che nel 2023 il mercato del videogioco nel nostro Paese è in espansione (+ 5% rispetto al 2022; + 28% rispetto al 2019) e vale attualmente 2.3 miliardi di euro. Il mercato si compone del comparto software e di quello hardware, quest’ultimo con oscillazioni annuali legate all’uscita o meno di nuovi dispositivi. Nel 2022 l’Italia rappresentava il nono mercato a livello mondiale e il terzo nella UE (Newzoo, 2024). Il maggior incremento negli ultimi anni lo si è avuto nel 2020 (+21.9% rispetto all’anno precedente), anno del lockdown pandemico (IIDEA, 2024).
I videogiocatori italiani sono circa 13 milioni, ovvero il 31% della popolazione italiana tra i 6 e 64 anni, con un’età media di 30 anni, e con un rapporto M/F di 1.6/1. I minorenni sono il 30%, ma un giocatore su quattro ha 45 anni o più. La maggioranza dei videogiocatori (9.5 milioni) gioca regolarmente, almeno una volta alla settimana, e ciò indicherebbe che il sistema ha raggiunto un assestamento dopo la fase pandemica (IIDEA, 2024).
Un dato interessante è la spesa in-game, che comprende l’acquisto di DLC (Downloadable Content), e servizi vari, sia on-demand che mediante sottoscrizione. In questa categoria di spesa sono incluse le loot-box o altre tipologie di oggetti digitali da utilizzare nell’ambito del videogioco. In Italia la spesa per DLC nel 2023 è risultata in forte riduzione, – 42% rispetto all’anno precedente (IIDEA, 2024). L’andamento del dato andrebbe osservato nel tempo da parte degli operatori sanitari che si occupano anche di gioco d’azzardo.
I videogiochi sono classificati per generi e sottogeneri, pur se la suddivisione sulla base di elementi formali superficiali appare per l’operatore sanitario assai meno interessante rispetto ad una classificazione basata su fattori strutturali in grado di impattare a livello psicologico e di rappresentare un potenziale rischio per il GD (Saini & Hodgins, 2023). In questa prospettiva alcune tipologie di videogiochi appaiono maggiormente importanti e studiate. Diversi lavori confermerebbero infatti una correlazione tra giochi di tipo Massively Multiplayer Online Role Playing Game (MMORPG) e First Person Shooting (FPS) da un lato e gaming disorder dall’altro (Saini & Hodgins, 2023). I MMORPG sono giochi immersivi 3D, spesso a tema fantasy o fantascientifico, nei quali un rilevante numero di giocatori interagiscono. I mondi e le vicende sono permanenti e si evolvono nel tempo anche durante l’assenza del singolo partecipante. I giocatori sono rappresentati da avatar, personaggi modificabili da parte del soggetto o evolventisi sulla base del livello raggiunto. Il rapporto con gli altri partecipanti può essere sia competitivo che cooperativo. Un esempio famoso di MMORPG è World of Warcraft.
I FPS, ad esempio Call of Duty, sono i cosiddetti “sparatutto”, giochi in cui il centro dell’azione è il punto di vista soggettivo di un combattente che brandisce un’arma da fuoco, in una continua e frenetica azione di guerra, in solitaria o in cooperazione con altri giocatori. Simili ad essi sono i Third Person Shooting (TPS), in cui il punto di vista è esterno al personaggio, solitamente dietro alle spalle.
I Multiplayer Online Battle Arena (MOBA) sono anch’essi incentrati su condotte belliche collettive, in cui squadre di giocatori si fronteggiano e si combattono per raggiungere degli obiettivi e/o difendere delle posizioni. I giochi del genere MOBA (ad esempio League of Legends) vengono spesso utilizzati per competizioni pubbliche tra squadre (eSport) che hanno un largo seguito di appassionati e che, tra l’altro, possono essere oggetto di scommesse sportive.
I Real Time Strategy (RTS) hanno come meccanismo centrale la strategia, il problem solving, il management delle risorse. Anche in questo caso più giocatori, o squadre di giocatori, competono in tempo reale. Simili sono i BST, Based-Turn Strategy, nei quali i giocatori o le squadre operano a turno, avendo quindi più tempo per sviluppare strategie migliori.
In tutti questi giochi sono presenti meccanismi di reward in grado di stimolare il sistema dopaminergico, rinforzi di natura sociale, e il cosiddetto Fear Of Missing Out (FOMO, vedi più avanti).
Esistono naturalmente molte altre tipologie di giochi, per esempio i simulatori (in cui il giocatore è alla guida di aerei o altri mezzi, oppure deve gestire città o aziende), giochi sportivi (molto popolari i giochi di calcio o le gare automobilistiche) e i giochi d’avventura o d’azione, in cui il personaggio deve superare ostacoli e acquisire oggetti e punti per accedere ai livelli superiori. Per questi vi sono meno studi e minori evidenze sulla loro correlazione con un uso problematico (Saini & Hodgins, 2023). Da sottolineare la tendenza alla ibridizzazione dei videogiochi, ovvero il mescolamento di caratteristiche proprie di generi differenti, per cui una classificazione dei videogiochi in rigide categorie è di fatto impossibile.
Resta da chiarire quanto pesi la tipologia di gioco sul rischio di sviluppare GD: la scelta del gioco potrebbe essere, almeno in parte, funzionale alle motivazioni e al tipo di rinforzo ricercato. In ogni caso sembra che la problematicità sia più fortemente correlata ai fattori individuali che agli elementi strutturali dei giochi come, ad esempio, il genere di gioco e la piattaforma utilizzata (smartphone, computer, console) (Cudo et al., 2023). Comunque, va considerato che differenti tipologie di giochi si adattano meglio a certi dispositivi piuttosto di altri (IIDEA, 2024).
Molti giochi si sono ormai trasformati in “servizi” online: in questi casi l’acquisto dello specifico software è sostituito da un abbonamento che dà diritto all’accesso al videogioco remoto. Ciò significa che il gioco è maggiormente controllato dal fornitore che può modificarlo anche tenendo conto dei feedback provenienti dai giocatori, ampliandolo e cambiandone il comportamento, di fatto rendendolo infinito. Ciò aumenterebbe la tendenza dei giocatori a rimanere fidelizzati al prodotto (King & Delfabbro, 2019). Parallelamente, si è evoluto anche il sistema di monetizzazione, passato dall’acquisto del gioco una tantum al pagamento di abbonamenti che consentono l’accesso a più giochi, e all’acquisto, attraverso ripetute microtransazioni, di loot box contenenti item da utilizzare all’interno del gioco. Talvolta le microtransazioni sono funzionali a meccanismi pay-to-win che facilitano l’avanzamento e la progressione nel gioco.
Quadro clinico
Sintomi
Similmente ad altre dipendenze, la fenomenologia osservabile nel GD deriva da molteplici processi coincidenti, in particolare: a) il quadro dell’addiction, ovvero i fenomeni legati l’asservimento all’oggetto di dipendenza; b) gli effetti esercitati dall’eccessivo consumo dell’oggetto di dipendenza; c) il quadro legato al profilo di personalità e, nel caso di adolescenti, all’immaturità dovuta all’età; d) l’eventuale presenza di caratteristiche temperamentali derivate dall’assetto genetico individuale; e) la comorbilità psichiatrica primaria o secondaria. Il mix di queste manifestazioni nel singolo individuo è alla base della caratteristica eterogeneità dei soggetti con dipendenza. Riconoscere e classificare le manifestazioni è importante per costruire un programma terapeutico personalizzato.
La progressione del comportamento di gioco può essere più o meno rapida, con un andamento continuo oppure intermittente. Il tempo di gioco aumenta significativamente e con esso l’assorbimento: il soggetto può trascorrere molte ore (10-12 ore o anche più) davanti allo schermo, sia durante il giorno che di notte, con significativa alterazione del ciclo sonno-veglia. Spesso, quindi, il soggetto presenta insonnia e sonnolenza diurna, e in alcuni casi è evidente una inversione completa del ritmo circadiano.
La persona dipendente manifesterà difficoltà a interrompere e perdita di controllo per quanto riguarda l’avvio, la durata, e la frequenza di gioco. Talvolta, soprattutto nei giocatori di videogiochi che giocano anche d’azzardo, un controllo deficitario riguarda anche le spese per l’acquisto di loot box o di altri oggetti digitali e accessori da utilizzare nei giochi, soprattutto con meccanismi pay-to-win.
Il DSM-5 descrive criteri di tolleranza e astinenza, tipicamente presenti in molte condizioni di dipendenza da sostanze. Nonostante sia discutibile utilizzare questi termini al di fuori dei contesti di interesse farmacologico, è possibile riconoscere comportamenti analoghi anche nelle dipendenze non chimiche, in particolare la progressione verso un consumo sempre maggiore e gli episodi disforici a fronte della impossibilità/divieto di giocare. Molti genitori che tentano di imporre l’interruzione forzata si trovano di fronte a reazioni di inquietudine e rabbia talora molto vivaci, con agitazione a volte violenta fino alla crisi pantoclastica. Le reazioni comportamentali alla interruzione possono accompagnarsi anche a cambiamenti del tono dell’umore in senso ansioso e/o depressivo, e sono possibili anche sintomi fisici. Al contrario, in altri casi il soggetto potrebbe non risentire affatto di brevi astensioni, soprattutto se dovute a cause di forza maggiore o a una scelta volontaria.
Collegato al disagio da interruzione è il cosiddetto FOMO (fear of missing out), ovvero il timore di perdere opportunità e informazioni a causa della cessazione del comportamento di gioco. Tuttavia l’alterazione dell’umore potrebbe essere causata anche da eventi interni al gioco, come ad esempio sconfitte, eliminazioni, incapacità a progredire di livello, eccetera. Non considerare questi come eventi del tutto normali e prevedibili all’interno di una adeguata dinamica di gioco, è una chiara distorsione cognitiva.
L’assorbimento nel gioco potrebbe essere tale da causare trascuratezza nella igiene personale, nella alimentazione, nel sonno. Il giocatore perde interesse per le relazioni familiari e sociali, nonché per gli impegni scolastici o lavorativi. Gli hobby e gli interessi pregressi vengono sempre più ridotti o abbandonati del tutto a favore dei videogiochi. La rinuncia a ottemperare alle proprie responsabilità porta a danni sempre maggiori e a difficoltà relazionali e sociali. I contatti sociali col tempo possono limitarsi alle relazioni con altri giocatori, arrivando anche ad un vero e proprio autoisolamento nella propria camera, non interrotto nemmeno per mettersi a tavola con la famiglia.
I casi molto gravi di GD con isolamento potrebbero configurare una forma di ritiro sociale estremo detto Hikikomori. Tuttavia, questi casi sono solitamente determinati primariamente da problemi psichici, soprattutto fobia sociale, disturbo evitante di personalità, depressione, disturbi dello spettro autistico, quadri schizoidi e prepsicotici (Kato et al., 2018), e non vanno confusi con il GD primario. Internet, l’uso di social e di videogiochi interattivi rappresentano, per i soggetti con Hikikomori, la modalità residua di contatto col mondo esterno.
Una caratteristica clinica importante, caratterizzante tutti i quadri di addiction, è la stabilità diagnostica, ovvero la tendenza dei sintomi a permanere nel tempo e a non recedere spontaneamente. Questa caratteristica si riflette sul criterio diagnostico della permanenza dei sintomi per almeno 12 mesi, come previsto sia dal DSM-5 che dall’ICD-11. Una ricerca di Gentile e Colleghi (2011) ha effettivamente mostrato che i sintomi del GD non trattato si mantengono stabili nella maggior parte dei pazienti per almeno due anni.
Relazioni familiari e sociali
La famiglia è solitamente il soggetto che pone la domanda terapeutica, essendo il giocare una attività essenzialmente egosintonica, come d’altronde ogni altra dipendenza.
I conflitti familiari sono frequenti e talora aspri in quanto il gioco diventa un terreno di sfida e di reciproci ricatti, specialmente nel caso di adolescenti. Il giocatore tenderà spesso a mentire sul proprio coinvolgimento al fine di limitare le discussioni.
Oltre alle relazioni familiari è possibile osservare danni alle relazioni amicali, sentimentali e scolastiche/lavorative, a causa della priorità assegnata al giocare rispetto alla vita sociale. Nelle prime fasi le relazioni amicali potrebbero intensificarsi, dato che il gioco può rappresentare un luogo di ulteriore incontro tra amici che condividono la medesima passione. Naturalmente l’aumento del coinvolgimento porterà il videogiocatore eccessivo a perdere i contatti con gli amici di prima, a favore di nuove relazioni con altri giocatori altrettanto coinvolti. La comunità di videogiocatori intensivi a questo punto rappresenterà un importante punto di riferimento del soggetto e un ulteriore rinforzo a continuare a giocare.
Aspetti psicologici e cognizioni
I soggetti con GD di frequente manifestano bassa autostima, bassi livelli di life/social skills, sensibilità allo stress e bassa autoefficacia; e inoltre tratti narcisistici, impulsività, sensation seeking. Come in altre forme di dipendenza, anche nel GD la relazione con il tratto impulsivo è fondamentale e bidirezionale, con una sempre maggior propensione da parte del giocatore incontrollato a compiere scelte impulsive.
King e Delfabbro hanno revisionato gli studi sulle cognizioni dei videogiocatori raggruppandole in 4 categorie. Le cognizioni sul gioco non necessariamente sono patologiche, ma lo diventano quando appaiono particolarmente frequenti, intrusive, con un impatto negativo sulla condotta e sulla vita del videogiocatore (King & Delfabbro, 2014; 2016).
1) Pensieri sul valore e concretezza della gratificazione dei giochi, dei livelli raggiunti, dei valori virtuali ottenuti; attaccamento emotivo all’avatar; pensieri ossessivi e giustificativi dell’eccessivo assorbimento.
2) Regole rigide e maladattive sul comportamento di gioco: comprende la riluttanza a interrompere, dato l’enorme investimento di tempo e sforzi per raggiungere il livello attuale; la tendenza a non interrompere se obiettivi e gratificazione non sono stati ancora ottenuti; procrastinazione continua di attività, impegni e responsabilità della vita quotidiana; pensieri maladattivi sulla durata, frequenza di gioco, e obiettivi da raggiungere.
3) Sovrastima del valore del gioco per soddisfare i bisogni di autostima: il videogioco rappresenta la principale e/o unica fonte di autostima, del senso di fiducia nelle proprie competenze e capacità di controllare gli eventi, Al contrario, possono essere presenti aspettative negative nei confronti del mondo “reale”, della sua imprevedibilità e pericolosità, e della impossibilità di ottenere i risultati e le gratificazioni desiderate.
4) Gioco come ambiente che soddisfa le esigenze sociali: il soggetto ipervaluta le relazioni all’interno del videogioco, ottiene un senso di appartenenza alla comunità dei videogiocatori o al gruppo di alleati dai quali si sente compreso e valorizzato; ipervaluta il rango ottenuto nel gioco, come fonte di ammirazione e valorizzazione del senso di sé. A ciò possono corrispondere convinzioni e aspettative negative rispetto al mondo sociale “reale”.
Naturalmente la classificazione di King e Dalfabbro non è l’unica: ad esempio, un successivo studio cinese avrebbe organizzato le cognizioni dei videogiocatori in tre categorie: a) percezione delle gratificazioni, b) percezione dell’urgenza di giocare, c) percezione della non intenzione di smettere di giocare prima di aver completato l’obiettivo (Yu et al., 2019).
Motivazioni e rinforzi
Una delle primarie motivazioni a continuare a giocare è la fuga e l’evitamento di stati d’animo negativi (ansia, depressione, noia, rabbia…). Il gioco è utilizzato come modulatore emotivo e strumento di coping. Importante anche la ricerca di una immagine di sé alternativa, vissuta come maggiormente adeguata e riconosciuta socialmente: il gioco diverrebbe quindi una modalità per mascherarsi con una identità virtuale e stabilire relazioni più rassicuranti, mediate dall’avatar. Lo sviluppo di abilità nel gioco può rappresentare un supporto narcisistico per persone con scarsa autostima e alla ricerca di uno status sociale più vicino al proprio ideale immaginario. In questi casi il gioco assume una valenza compensatoria. Altre forme di rinforzo possono derivare dall’eccitamento e stimolazione ottenute nel videogioco, nonché dalla espressione della competitività, soprattutto nel confronto diretto con altri giocatori piuttosto che con un algoritmo, come avviene nei giochi solitari.
Infine, i giochi che prevedono la partecipazione ad azioni collettive, in cui più giocatori si alleano tra loro per raggiungere un obiettivo, rinforzano a continuare a giocare per il timore delle ripercussioni sociali dovute all’abbandono dei compagni che, peraltro, potrebbero provenire da luoghi con differenti fusi orari. Ciò contribuisce a indurre il soggetto a cambiare i propri ritmi.
La molteplicità delle motivazioni che sostengono il gioco eccessivo è espressione della eterogeneità dei videogiocatori patologici, ma anche della molteplicità di meccanismi incentivanti messi in moto dai videogiochi moderni. Il riconoscimento da parte dell’operatore del tipo di motivazione e rinforzo ricercato ha una significativa rilevanza sul piano terapeutico.
Comorbilità somatica
È possibile osservare la presenza di sintomi fisici secondari all’uso intensivo dei dispositivi, al lungo tempo speso di fronte allo schermo, e allo stress. Per tale motivo le comorbilità somatiche, soprattutto le forme più gravi, sono più frequentemente rilevabili nei giocatori professionisti di eSport i quali tuttavia, seppur esposti enormemente all’uso di dispositivi, non vanno necessariamente considerati come videogiocatori dipendenti. In tali soggetti sono stati riportati perfino episodi di ictus e morte improvvisa.
Comunque, anche i soggetti con GD possono mostrare problemi agli occhi, cefalea, dolori alle articolazioni della mano e del polso, dolori al dorso, ipertensione arteriosa e problemi cardiocircolatori. Inoltre, la mancanza di attività fisica e il frequente ricorso a junk food contribuiscono all’aumento di peso e alla comparsa di disordini metabolici. La presenza di sintomi fisici va pertanto esplorata in tutti i soggetti con GD.
Comorbilità psichiatrica
La comorbilità psichiatrica è assai frequente tra i videogiocatori per la presenza di disturbi depressivi, disturbi d’ansia, compresa la fobia sociale, ADHD e, in minor misura, il disturbo ossessivo-compulsivo (González-Bueso et al, 2018). La presenza di comorbilità ovviamente rappresenta una condizione rilevante sul piano clinico, sia dal punto di vista prognostico che terapeutico. I dati di prevalenza purtroppo sono ancor oggi poco chiari: disturbi depressivi vengono riportati nel 32% dei videogiocatori, ma con un range di 0-75% nei diversi studi, il che indica l’inconsistenza del dato e la necessità di ulteriori studi di buona qualità per ottenere una stima più precisa. La diagnosi di depressione comorbile può essere complicata dalla presenza di alcuni sintomi comuni ai due quadri morbosi: ritiro sociale, anedonia, calo delle performance scolastiche o lavorative, disturbi del sonno e affaticabilità. Ciò comporta il rischio sia di una sovrastima che, al contrario, di una sottostima della comorbilità.
I sintomi depressivi sarebbero prevalentemente di medio-bassa gravità, talora rimanendo al di sotto della soglia diagnostica. Alcuni studi mostrerebbero una correlazione tra gaming disorder e suicidalità (ideazione e tentativi), ma un altro avrebbe rilevato un effetto protettivo del gaming, segno che la letteratura non è concorde. Mancano studi longitudinali che possano spiegare la esatta dinamica tra i due fenomeni (Erevik et al., 2022).
Diversi studi evidenziano l’esistenza di una correlazione tra disturbi d’ansia e gaming patologico (ad esempio Burkauskas et al., 2022; Huang et al., 2022; Wang et al. 2017). Il GD sarebbe correlato sia all’ansia libera che all’ansia sociale, che, infine, alla presenza di sintomi ossessivo-compulsivi (Andreassen et al., 2016).
Non è chiaro quanto i disturbi d’ansia e depressivi siano primari oppure secondari al GD, dato che la maggior parte degli studi è trasversale. Uno studio longitudinale (Gentile et al., 2011) avrebbe comunque mostrato che ansia, depressione e fobia sociale sono peggiorate dal comportamento di gaming patologico e peggiorano o migliorano coerentemente con la sintomatologia del GD. Similmente alle altre forme di dipendenza, sia chimiche che comportamentali, la relazione tra GD e comorbilità psichiatrica appare complessa e non è riducibile alla dicotomia primaria/secondaria.
In ogni caso, sul piano clinico si osserva che l’evitamento del disagio derivante dai sintomi psicopatologici rappresenta un rinforzo importante per molti videogiocatori patologici, con il rischio che si creino circoli viziosi.
L’associazione tra ADHD e addiction è ben nota, e il GD non fa eccezione. Purtroppo, solo una porzione dei pazienti ADHD risulta già diagnosticato e in trattamento: la diagnosi ancor oggi è spesso trascurata e non facilmente riconoscibile in età adulta. La letteratura riporta una prevalenza assai variabile di comorbilità nei videogiocatori, con un range di 29-83%; l’ADHD è primario rispetto al GD, e rappresenta un fattore di rischio (Salerno et al., 2022). Da considerare che anche l’impulsività, una delle manifestazioni caratteristiche dell’ADHD, ma che può essere presente anche indipendentemente da esso, rappresenta un fattore di rischio per il GD (Gentile et al., 2011). Se da un lato si è visto che maggiori sintomi ADHD possono portare a un maggiore tempo speso per giocare, non è chiaro se il GD possa aggravare i sintomi ADHD. In ogni caso l’esposizione a videogiochi violenti sembra influire su impulsività e attenzione, suggerendo una bidirezionalità della relazione tra le due patologie (Gentile et al., 2012). Il disturbo da deficit d’attenzione e iperattività può accompagnarsi a difficoltà relazionali, difficoltà alla regolazione emozionale e, di conseguenza, a tendenza all’isolamento (Salerno et al., 2022). Anche in questo caso, quindi, si osserva la sovrapposizione con la fenomenologia del GD, con conseguenti difficoltà diagnostiche.
Nell’interazione clinica tra GD e ADHD è possibile osservare sia soggetti con sintomi prevalentemente internalizzati, come ritiro sociale, ansietà e depressione, sia soggetti con sintomi esternalizzati, come impulsività, disregolazione emotiva, aggressività e tendenza a non rispettare le regole (Berloffa et al., 2022). Alcune manifestazioni dell’ADHD, come ad esempio l’iperattività e l’iperfocus, potrebbero rappresentare un vantaggio nel videogioco in termini di prontezza di risposta, assorbimento e continuità nel gioco.
La comorbilità con ADHD, se non trattata, peggiora la prognosi del GD (Salerno et al., 2022). Ciò pertanto indica l’esplorazione sistematica della presenza dei sintomi non solo nei videogiocatori adolescenti, ma anche nei soggetti adulti. In caso di diagnosi positiva, è indicato il trattamento farmacologico ed educativo specifico.
Non va trascurata la possibile associazione tra GD e disturbi dello spettro autistico, dovuta probabilmente all’ampia comorbilità tra quest’ultimo e l’ADHD. I soggetti con un disturbo dello spettro autistico sarebbero peraltro più a rischio di sviluppare un quadro di Hikikomori, analogamente ai fobici sociali (Dell’Osso et al., 2023).
Esiste nei videogiocatori un maggior rischio di uso e abuso di sostanze, il che non sorprende dati i comuni fattori di rischio. Può tornare utile clinicamente la distinzione tra consumo intra-gioco ed extra-gioco: naturalmente è frequente l’uso di sostanze psicotrope per potenziare/prolungare il comportamento di gioco. In tali casi saranno preferiti eccitanti come la caffeina, le bevande energizzanti, la nicotina. Tuttavia non manca l’uso di alcol e cannabis, probabilmente con finalità di coping rispetto a stati d’animo negativi. Alcune ricerche indicherebbero l’esistenza di differenze di genere, ad esempio la maggior propensione delle femmine a utilizzare sostanze a scopo di regolazione emozionale (Burkauskas et al., 2022; Burleigh et al., 2019).
Esiste una correlazione seppur debole, tra GD e uso problematico di Internet (soprattutto di app social); tendenzialmente i maschi preferiscono giocare, le femmine frequentare i social.
Molto si discute sulla questione della convergenza tra gaming e gambling (Mills et al., 2023). Oltre alla comorbilità in sé, una questione dibattuta è il potenziale gate effect che il gaming potrebbe rappresentare nei confronti del gioco d’azzardo. In realtà sembra che la correlazione tra i due quadri clinici al momento non risulti particolarmente rilevante. Tuttavia, diversi lavori dimostrerebbero che il videogiocatore che gioca anche d’azzardo tenderebbe a spendere cifre maggiori nelle microtransazioni presenti nei videogiochi, come ad esempio l’acquisto di loot box. Altri fenomeni di convergenza sono i social casino, ovvero i giochi da casinò giocabili a titolo gratuito con app specifiche oppure attraverso le piattaforme social, le scommesse sugli esport e le skin bet, cui i videogiocatori sono più esposti. Inoltre è chiara la convergenza di aspetti tecnologici tipici del gambling e del gaming, sia per l’esigenza dell’industria dei videogiochi di assicurarsi i profitti, sia per la necessità di affiliare le nuove generazioni da parte dell’industria dell’azzardo.
Infine, va sottolineata la correlazione tra GD e disturbi di personalità, in particolare i disturbi del cluster C. Alcuni tratti in particolare sono stati associati a un maggior rischio di GD, tra i quali alessitimia, elevata impulsivita, neuroticismo e aggressività, bassa scrupolosità (Gervasi et al., 2017).
In conclusione, anche il Gaming Disorder appare associato largamente a comorbilità psichiatrica, in modo simile agli altri quadri di addiction, pur se con una articolazione non necessariamente identica. Il dato di prevalenza è poco attendibile a causa della scarsa coerenza dei criteri diagnostici di GD e della presenza di altre distorsioni, come ad esempio la sovrapposizione di sintomi. La presenza di doppia diagnosi peggiora la sintomatologia di entrambi i disturbi, ne altera la risposta ai trattamenti e peggiora la prognosi. Ciò tende a validare ulteriormente l’inquadramento del GD tra le dipendenze comportamentali.
Tipologia dei videogiocatori
Svariati sistemi di classificazione/tipizzazione dei soggetti con dipendenza (chimica o gambling) sono stati sviluppati per facilitare l’organizzazione del ragionamento clinico, delle strategie e degli strumenti terapeutici a fronte della spiccata eterogeneità dei quadri clinici osservabili. Generalmente si utilizzano dei metodi statistici che, sulla base delle variabili rilevate, estrapolano dei raggruppamenti (cluster). La risultante clusterizzazione si basa sulla scelta, il numero, la tipologia e il metodo di misurazione delle variabili, modificando le quali si potrebbero ottenere classificazioni differenti. Va comunque considerato che la validità di una tipizzazione non è solamente un fatto statistico: dovrebbe basarsi su una teoria patogenetica e soprattutto dovrebbe avere un significato sul piano clinico, in quanto dovrebbe consentire una profilazione dei pazienti utile sul piano prognostico e terapeutico.
Lee e Coll. (2017) hanno proposto un adattamento del Modello Patogenetico del gambling patologico di Blaszczynski e Nower (2002) (Bellio, 2020) cui corrispondono tre tipologie di videogiocatori: il tipo impulsivo/aggressivo, il tipo emotivamente vulnerabile, e il tipo socialmente condizionato.
– Tipo impulsivo/aggressivo; il gioco rappresenta una modalità di espressione dell’aggressività e di ricerca di sensazioni per alleviare la noia. Elevati livelli di impulsività, ADHD, e difficoltà di controllo caratterizzerebbero questi gamer che potrebbero manifestare anche altri sintomi esternalizzati e comportamenti problematici. Il gioco eccessivo a sua volta aumenta i livelli di rabbia e impulsività, portando a un circolo vizioso. In questa tipologia di videogamer la componente biologica/genetica avrebbe un peso rilevante, con alterazioni dei sistemi dopaminergici e serotoninergici. Questi giocatori tenderebbero a preferire i giochi MOBA e FPS.
– Tipo emotivamente vulnerabile; prevalgono gli aspetti psicopatologici, principalmente ansia e depressione. Il gioco è tipicamente per fuga, per alleviare stati d’animo negativi. Ulteriori fattori psicologici presenti sono la bassa autostima, sensibilità allo stress e insoddisfazione relativa alla vita “reale”. Da considerare che il gioco per fuga è presente anche in molte situazioni non patologiche in cui funziona come meccanismo (efficace) di coping dello stress. Esso diventa patologico quando il contesto è complessivamente problematico, quando diventa l’unica forma di coping che il soggetto utilizza, quando non risulta efficace, e quando sono presenti altri sintomi psicopatologici internalizzati.
– Tipo socialmente condizionato; a differenza del tipo 1 dell’originale Modello Patogenetico di Blaszczynski e Nower, questo tipo di videogiocatore cerca di soddisfare bisogni sociali in un contesto di carenti abilità sociali, difficoltà relazionali familiari, solitudine, sensibilità alla disapprovazione sociale, precedenti esperienze di bullismo, eccetera. I bisogni sociali, quindi prevalgono sui meccanismi di condizionamento da parte del gioco. Lee e Colleghi (2017) descrivono due sottotipi di giocatori socialmente condizionati: coperto (covert) e manifesto (overt).
Il sottotipo coperto si caratterizza per l’evitamento e il ritiro sociale: il giocatore evita i rischi ed è sensibile al rifiuto e al fallimento delle relazioni. Le competenze sociali sono scarse mentre, al contrario, le relazioni online sono vissute in modo più rassicurante e soddisfacente. Col tempo il soggetto si distacca sempre più dalle relazioni “reali” sostituendole con quelle virtuali. Il sottotipo manifesto si caratterizza per gli aspetti narcisistici e la ricerca di approvazione e ammirazione da parte degli altri. Il gamer persegue il successo nell’ambito del videogioco e la conferma delle proprie abilità, senza il rischio di essere criticato o rifiutato nelle relazioni “reali”. Naturalmente i giochi con elevati livelli di socializzazione saranno preferiti da questa tipologia di gamer.
– Un quarto tipo di gamer viene ipotizzato da Lee e Colleghi (2017): il tipo non altrimenti specificato, ovvero una categoria residua in cui collocare situazioni che non rientrano nelle tre precedenti.
Il punto di forza della classificazione di Lee e Colleghi sta nel richiamare da vicino altre e ben note tipologie utilizzate nella clinica delle dipendenze, come quella di Cloninger per gli alcolisti, Babor per i cocainomani e Blaszczynski e Nower per i giocatori d’azzardo. Tra gli aspetti di debolezza va considerato che la variabile età potrebbe richiedere delle modificazioni, come già visto nel caso del Modello Patogenetico applicato ad adolescenti giocatori d’azzardo (Gupta et al., 2013).
Le ricerche sulla classificazione tipologica dei videogiocatori sono ancora agli esordi, e alcune ulteriori proposte sono sul tavolo (ad es. Billieux et al, 2015; Faulkner et al., 2015). Va evidenziato tuttavia che alcune di esse sono il risultato di ricerche effettuate su popolazioni non cliniche e ciò comporta non solo risultati differenti, ma anche di discutibile interesse per l’operatore sanitario. In attesa di ulteriori e più consolidati risultati, è consigliabile che l’operatore si avvalga di un sistema classificatorio già utilizzato in altre forme di dipendenza per avere un punto di riferimento con cui confrontare la propria esperienza e l’osservazione clinica.
Assessment
Nelle sue linee generali e metodologiche la valutazione clinica del Gaming Disorder non si discosta da quella del disturbo da gioco d’azzardo e, probabilmente, da quella di eventuali, future dipendenze comportamentali. Gli obiettivi fondamentali infatti sono: raccogliere dati qualitativi e quantitativi idonei per la formulazione di una diagnosi multidimensionale, esplorare i principali fattori di rischio e la comorbilità, e facilitare la tipizzazione dell’individuo. Naturalmente va posta anche una corretta diagnosi nosografica: infatti non è scontato che i videogiochi siano sempre responsabili primari delle problematiche presentate dal soggetto, soprattutto se si tratta di adolescenti “portati” da genitori il cui giudizio potrebbe presentare distorsioni e pregiudizi (King & Delfabbro, 2019).
I tre strumenti fondamentali del processo di valutazione standardizzato sono il colloquio libero, l’intervista strutturata e le scale di valutazione, cui va aggiunto un sistema informativo con cui organizzare, memorizzare ed elaborare i dati (Bellio, 2022b).
Il primo colloquio è un intervento essenzialmente osservativo e di raccolta di elementi qualitativi e soggettivi. Si svolge con modalità abbastanza (ma non del tutto) libere, lasciando largo spazio al paziente. Le osservazioni dell’operatore mirano essenzialmente a precisare alcuni aspetti e a sondare il funzionamento mentale, non dimenticando la ricapitolazione finale. Il colloquio può essere svolto col solo paziente oppure con il (solo) familiare. Naturalmente le prospettive osservative in questi casi saranno differenti.
L’intervista strutturata o semistrutturata (la differenza sta nel grado di libertà dell’operatore e del paziente rispetto allo schema base dell’intervista) ha lo scopo di raccogliere dati qualitativi, e talora quantitativi, relativamente al comportamento di gioco e ai fattori di rischio e comorbilità. Può inoltre integrare/completare la raccolta anamnestica. Nel corso dell’intervista verranno approfonditi in particolare i sintomi che rappresentano i criteri diagnostici che consentono di porre diagnosi. Per i criteri del DSM-5, un gruppo di esperti è giunto a un consenso sulla più corretta formulazione delle domande da porre al paziente; ne esiste anche la versione italiana (Petry et al., 2014).
Alcune variabili cliniche importanti richiederanno anche una valutazione quantitativa attraverso la somministrazione di questionari e rating scale. Ad esempio, può essere utile quantificare i livelli di impulsività globale e caratterizzarne meglio le principali componenti (attentiva, motoria, urgenza, pianficazione…). Anche la misurazione dei livelli di sofferenza psicopatologica e delle motivazioni a giocare può essere utile per comprendere meglio la dinamica del comportamento patologico e degli elementi che lo sostengono.
Alcune scale di valutazione specifiche per il gaming possono essere utilizzate per supportare la diagnosi e valutare i livelli di gravità (posto che la presenza di più sintomi equivalgano a una maggiore gravità). Da notare che esistono alcune decine di scale piuttosto differenti l’una dall’altra in quanto si basano su definizioni diverse del gaming disorder. Anche considerando i 9 sintomi DSM e i 4 ICD, differenti scale ne mostrano una personale e diversa copertura e formulazione degli item (King et al., 2020). Ciò comporta pertanto una certa confusione e una sostanziale mancanza di strumenti consolidati attraverso studi replicati. A incrementare l’incertezza contribuisce la presenza di questionari differenti tra loro per struttura e concezione aventi però la stessa denominazione (King et al., 2020). Infine, solo pochissimi studi hanno confrontato la validità diagnostica delle scale con un gold standard, nello specifico rappresentato dalla diagnosi di esperti attraverso una intervista diretta del paziente (Yoon et al., 2021).
Tutto ciò premesso, alcune scale, basate sui criteri DSM-5, sembrano presentare una maggiore affidabilità sulla base delle caratteristiche psicometriche e di altre evidenze, La Internet Gaming Disorder Scale – Lemmens-IGDS-9, (Lemmens et al., 2015) è una breve scala di 9 item con risposte dicotomiche (sì/no) e un cut-off di 6, più conservativo rispetto ai 5 criteri DSM. La scala mostra le stesse buone proprietà psicometriche della versione a 27 item in cui ogni criterio viene articolato attraverso 3 item, il che potrebbe arricchire le informazioni cliniche.
La Internet Gaming Disorder Scale-9 Short Form – IGDS-SF9 (Pontes & Griffiths, 2015) come la precedente è stata sviluppata a partire dai 9 criteri DSM, ma prevede una struttura di risposta tipo Likert a 5 punti (da “mai” a “molto spesso”), con un range del punteggio totale di 9-45. Ciò significa che, a differenza della precedente, la scala non restituisce una indicazione diagnostica, ma piuttosto un livello di gravità, dato che i criteri non vengono conteggiati in modo categoriale, ma pesati. Esiste una validazione italiana (Monacis et al., 2016) che ha calcolato un cut-off diagnostico pari a 21. Tuttavia, tale valore è al momento puramente indicativo, sia per il basso numero di soggetti patologici testati, sia per l’assenza di un gold standard clinicamente significativo.
Con l’introduzione dell’ICD-11, ulteriori scale diagnostiche basate su quei criteri sono oggetto di sperimentazione, ad esempio il Gaming Identification Test – GADIT di Chan e Colleghi (2024).
Altre scale di valutazione possono essere utili per caratterizzare meglio alcuni aspetti del comportamento di gioco. Il Gaming Motivation Inventory – GMI (Kiràly et al., 2022) esplora le motivazioni a giocare emerse da una revisione della letteratura: si tratta di una scala di 88 item con risposte tipo Likert a 7 punti (da “per nulla esatto” a “totalmente esatto”). Gli item sono rappresentativi di 26 motivi a loro volta raggruppati in 6 dimensioni. Il questionario può essere utilizzato sia in ambito clinico che per studiare comportamenti normali di gioco. Gli Autori specificano la possibilità di utilizzare solamente le porzioni di questionario che interessano. Ad esempio, per brevità si potrebbe scegliere di esplorare le dimensioni Immersione/Escapismo e Abitudine/Noia che più si correlano alla condizione patologica.
La Internet Gaming Cognition Scale – IGCS è uno strumento per valutare le cognizioni dei videogiocatori (King & Delfabbro, 2014; 2016). Si compone di 24 affermazioni che il soggetto deve valutare quanto siano appropriate per sé (non d’accordo, d’accordo, molto d’accordo). Il punteggio varia da 0 a 48, e 4 sottoscale individuano le corrispondenti categorie di cognizioni descritte da King e Delfabbro (2014), Uno studio cinese ha successivamente ricavato dalla IGCS una forma modificata a 15 item e 3 sottoscale (Yu et al., 2019). Resta ancora da comprendere se tale revisione migliora le qualità psicometriche della scala anche nelle culture occidentali e se ne conferma l’utilità clinica.
Con ogni probabilità, quindi, una batteria di test standardizzata sarà composta sia da questionari specificamente dedicati al gaming, sia da scale utili alla esplorazione e studio di altre variabili psicologiche di rilievo.
Trattamenti
Nonostante abbia ormai oltre 10 anni alle spalle, lo studio sul trattamento del GD è a tutt’oggi nella sua fase infantile. Le tipologie di intervento studiate, sia psicologiche che farmacologiche, sono relativamente poche, anche se gli scarsi studi controllati sembrano dimostrare una certa efficacia (Dong et al., 2024).
La terapia cognitivo comportamentale (CBT) ha alle spalle un maggior numero di studi. Il focus dell’intervento è incentrato soprattutto sulle distorsioni cognitive, sul fronteggiamento delle emozioni negative e sul controllo degli automatismi. La CBT si è dimostrata finora il singolo trattamento più efficace, utile anche a ridurre la depressione e, in minor misura, l’ansia. A causa dei pochi studi a disposizione, non è possibile al momento affermarne l’efficacia a lungo termine, né dimostrare una effettiva riduzione dei tempi di gioco (Stevens et al., 2018).
Oltre alla CBT, sono stati studiati anche interventi familiari, mindfulness, stimolazione transcranica non invasiva, e farmacoterapie, da soli o associati tra loro. Una revisione degli studi sembrerebbe indicare la superiorità dell’associazione tra CBT e mindfulness oppure CBT e intervento familiare rispetto agli stessi trattamenti erogati singolarmente (Kim et al., 2022). La mindfulness contribuirebbe a controllare le emozioni negative e a ridurre lo stress, mentre l’intervento familiare, soprattutto nei casi di GD in adolescenza, tende a migliorare le relazioni e le comunicazioni tra genitori e figli.
Sia la stimolazione magnetica transcranica che la stimolazione transcranica a corrente diretta sono state sperimentate nel GD con risultati incoraggianti, ma ancora del tutto preliminari (Sharma & Weinstein, 2024).
Sul versante farmacologico, una recente revisione della letteratura ha individuato solamente 12 studi, quasi tutti in aperto, che hanno indagato in particolare bupropione, SSRI, e farmaci per l’ADHD (de Sa et al., 2023). Tutti i farmaci hanno mostrato di essere efficaci sia sui sintomi GD che sulla depressione o ADHD comorbili. Tuttavia, vi sono perplessità sull’affidabilità dei risultati e sulla loro generalizzazzione, sia per questioni metodologiche, sia perché gli studi sono stati condotti perlopiù in Corea del Sud, sia per l’assenza di studi di replicazione. Tra tutti, forse il bupropione ha mostrato risultati più convincenti. Interessante il fatto che l’associazione tra bupropione e CBT è risultata superiore al solo bupropione nel ridurre i sintomi GD in videogiocatori depressi (Kim et al., 2012). In ogni caso la terapia farmacologica del GD va considerata con cautela e in relazione alle comorbilità presenti.
Virtualmente assente è la letteratura su trattamenti residenziali, il cui scopo è il distacco dall’uso di Internet e di dispositivi elettronici e la promozione di abilità personali e sociali. Osservazioni critiche erano state sollevate in passato a proposito dei cosiddetti boot camp cinesi e coreani, trattamenti residenziali caratterizzati dalla organizzazione e disciplina di tipo militare in cui venivano accolti anche soggetti minorenni contro la loro volontà. Sakuma e Colleghi (2017), invece, descrivono un modello di trattamento residenziale che promuove la consapevolezza del proprio benessere e salute, la sperimentazione di comunicazioni dirette senza alcun medium elettronico, lo sviluppo di relazioni tra pari e le abilità di problem solving. A distanza di tre mesi i soggetti trattati mostrano una maggior consapevolezza del problema, una maggiore autoefficacia e la riduzione del numero di ore di gioco.
La letteratura sui trattamenti del GD sembra finora suggerire un approccio più complesso, analogo alle altre forme di dipendenza. Un singolo strumento terapeutico di norma non appare sufficiente ad affrontare l’insieme dei bisogni di salute del paziente, mentre sembra vantaggiosa l’associazione di più strumenti. Naturalmente non si può escludere che interventi terapeutici finora poco o nulla studiati possano essere efficaci, in particolare i trattamenti già dimostrati utili in altre forme di dipendenza (interventi motivazionali, contingency management, prevenzione delle ricadute, eccetera). Ad esempio, uno studio che mirava a dimostrare l’efficacia della CBT in confronto al counselling ha mostrato una equivalenza dei due interventi nella riduzione sia dei sintomi del GD che delle emozioni negative e un vantaggio della CBT sulle sole distorsioni cognitive (Li & Wang, 2013); dal momento che è noto il ruolo positivo del counselling nelle forme di addiction chimica, se ne deduce che anche il gruppo di controllo in realtà ha goduto di un trattamento attivo di quasi eguale efficacia.
In ogni caso, mentre la letteratura scientifica necessariamente segue un proprio percorso logico per costruire una base di prove empiriche, l’operatore dovrà trovare ispirazione anche nelle strategie consolidate che da anni guidano i trattamenti delle dipendenze. Essi solitamente prevedono l’associazione di più strumenti terapeutici, sia in forma integrata che sequenziale. Nel caso frequente in cui sia coinvolto un adolescente, il più delle volte con scarsa critica e resistenza al coinvolgimento, il trattamento tenderà ad essere più difficile e con una ridotta risposta terapeutica.
Conclusioni
Da quando, nel 1980, sono comparsi i primi computer accessibili al grande pubblico (Commodore Vic-20, Sinclair ZX Spectrum, Commodore 64…) la storia del videogioco è proceduta in parallelo con l’evoluzione tecnologica dell’hardware. Fin da subito giocare al computer suscitò grandissimo entusiasmo tra i giovani di allora, e vennero alla luce anche attaccamenti eccessivi e problematici. Il panorama tecnologico oggi è cambiato profondamente, moltiplicando gli strumenti che consentono di accedere ai giochi, anche in mobilità, e rendendo i giochi stessi assai più attrattivi, complessi e coinvolgenti. I produttori di videogame, analogamente ai produttori di azzardo, fanno tesoro delle conoscenze psicologiche e neurobiologiche al fine di ottenere prodotti in grado di gratificare l’individuo a più livelli e dai quali staccarsi costa sempre più fatica. Fidelizzazione, abitudine, ripetizione compulsiva sono concetti dai confini sempre meno definiti.
Le conoscenze scientifiche sul gaming problematico si sono progressivamente accumulate, ma profonde divisioni esistono nella comunità scientifica su una questione basilare come la definizione diagnostica portando, di conseguenza, incertezza sugli strumenti di assessment, sui dati epidemiologici e sulla valutazione dei trattamenti.
Giocare al computer non è di per sé una attività negativa o problematica, tutt’altro: esistono videogiochi didattici, educativi e terapeutici (c.d. serious games). Non sembra vi siano attualmente, almeno in occidente, motivi sufficienti per promuovere restrizioni sulla disponibilità di giochi e sulla libertà di giocare. Quale quindi l’obiettivo terapeutico? A torto o a ragione, finora l’obiettivo primario perseguito dagli operatori dei Serd è stata l’astensione dal consumo. Ciò viene messo in discussione da tempo a favore di un approccio meno radicale e dicotomico, tutto o nulla. Prefissarsi il recupero del controllo appare un obiettivo maggiormente razionale nei casi in cui la problematicità emerga da comportamenti del tutto normali e di per sé non nocivi. È il caso della gran parte delle cosiddette dipendenze comportamentali. Gli operatori dei Serd che si avvicinano a questi quadri clinici sono quindi chiamati non solo ad apprendere nuove nozioni e ad adattare in modo nuovo gli usuali strumenti terapeutici, ma anche a ristrutturare la loro visione sulle finalità dei trattamenti. E questo processo deve necessariamente coinvolgere anche il paziente.
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