Una lettura critica di : L.J.Rugle and R.J.Rosenthal, “Transference and Countertransference Reactions in the Psychotherapy of Pathological Gamblers”, Journal of Gambling Studies, 10/1:43-65, 1994.
Questo articolo era stato pubblicato precedentemente anche su ALEA Bulletin.
Perché rivisitare un testo vecchio di oltre un quarto di secolo?
La relazione terapeutica è un fenomeno osservabile il cui studio mediante un rigoroso metodo scientifico è alquanto difficile a causa della sua complessità e della presenza di variabili imponderabili e individuali. Pur se la medicina scientifica non ignora completamente l’importanza del rapporto con il paziente, tuttavia fatica ad andare oltre al semplice dato descrittivo e all’utilizzo di una terminologia il cui significato profondo, i presupposti e le implicazioni non vengono chiariti del tutto. Pensiamo ad esempio all’ampio utilizzo di concetti quali comunicazione, empatia, umanizzazione, ascolto, consapevolezza, e a quante e quali dimensioni soggettive e interpersonali ricomprendono.
Viene quindi spontaneo tornare a un passato non recentissimo in cui proliferavano lavori di approfondimento degli elementi affettivi e cognitivi nell’incontro col paziente, anche nell’ambito della medicina somatica. Non che adesso manchi letteratura psicodinamica, ma ciò che è mutato è il suo peso culturale e la ricaduta sulla pratica clinica.
Si può quindi giudicare ancora attuale un articolo “storico”, di oltre 25 anni fa. Guardare alle dinamiche del Transfert e Controtransfert vuol dire esplorare non solo i fenomeni affettivi che caratterizzano la relazione psicoterapeutica, ma pure le dinamiche dei rapporti all’interno della equipe curante.
Il termine Transfert nella sua definizione più generale si riferisce agli affetti che il paziente sviluppa verso il terapeuta e il contesto di trattamento; per Controtransfert si intendono gli affetti che il terapeuta e gli operatori dell’equipe sviluppano nei confronti del paziente. Transfert e Controtransfert sono fenomeni legati alla specifica relazione terapeutica. I fenomeni clinici non cambiano con le mode, né con i modelli teorici. Essi sono lì per essere osservati e interrogati. Spetta ai modelli tentare di dare risposte razionali, fornendo una matrice esplicativa per mezzo della quale poterli interpretare e gestire più consapevolmente, senza sentirsi eccessivamente sperduti.
Prima di tutto: la relazione
Rugle e Rosenthal sottolineano che la relazione inizia con il primo contatto, vis a vis o telefonico. Il contatto non è un evento neutro, ma è carico di elementi emotivamente importanti. Già le modalità con cui viene richiesto aiuto consentono di vedere quali parti di sé e del suo funzionamento sono espressi dal paziente: la vergogna, l’umiliazione o la rabbia possono generare fin da subito problemi comunicativi, incomprensioni e difficoltà emotive sia nel paziente che nell’operatore. Quest’ultimo è chiamato a costruire attivamente un contesto incoraggiante e garantire un clima di disponibilità e accettazione associati ad autorevolezza e sicurezza del proprio ruolo e delle proprie capacità. In ogni caso la presenza di ostilità, diffidenza e rabbia nelle fasi iniziali del rapporto non costituisce necessariamente un impedimento allo sviluppo positivo del trattamento, dato che di frequente questi stati d’animo iniziali sono causati da condizioni esterne, ad esempio conflittualità e pressioni derivate dall’ambiente.
La letteratura psicodinamica sul trattamento psicologico delle dipendenze raccomanda due cose fondamentali: 1) evitare un approccio interpretativo o confrontativo troppo precoce; 2) suddividere la relazione terapeutica tra più operatori. Una relazione “diluita” può infatti essere rassicurante per chi trova difficoltà nelle relazioni strette, e può talora comportare lo sviluppo di fenomeni scissionali. (Si rimanda il lettore a testi specifici per gli approfondimenti). Quando il paziente identifica un operatore come “buono” e un altro come “cattivo” è possibile per l’operatore “buono” far riflettere il paziente sulle proprie modalità relazionali scisse. Sfortunatamente problemi anche gravi nell’equipe possono nascere se gli operatori iniziano, in modo del tutto spontaneo e inconsapevole, a incarnare nella realtà i ruoli che il paziente ha loro assegnati.
Reazioni di transfert positivo
La buona relazione e il transfert positivo sottostante vengono attivamente favoriti dagli operatori in quanto presupposto per il prosieguo e il buon esito del trattamento. Gli Autori tuttavia ricordano che anche un transfert positivo può riservare trappole e difficoltà.
La ricerca di attenzione e approvazione da parte del terapeuta rappresenta un punto cui il paziente narcisista è molto sensibile e viene sollecitata di frequente, magari attraverso il comportamento non verbale. Se non ottenuta il paziente potrebbe rispondere con un distacco emotivo, rabbia, oppure attraverso comportamenti miranti ad attrarre e imporre l’attenzione. Sentimenti aggressivi potrebbero peraltro essere negati a livello conscio e trasformati nella tendenza a proteggere il terapeuta, tendenza ben individuabile nei trattamenti di gruppo.
La polarizzazione estrema del transfert positivo è rappresentata dalla idealizzazione del terapeuta, sentimento che ha lo scopo di rassicurare il paziente e di minimizzare l’angoscia di abbandono. Il terapeuta viene molto gratificato sul piano professionale e personale. L’idealizzazione tuttavia, poiché è frutto della scissione, si accompagna al rischio dell’improvviso viraggio verso un transfert negativo. Va considerato infatti che un terapeuta “perfetto” e onnipotente può scatenare sentimenti di invidia e paura nel paziente: tanto più il terapeuta è idealizzato, tanto maggiore è il divario percepito dolorosamente dal paziente con il Sé svalutato. La relazione può improvvisamente virare e il terapeuta venir vissuto come un persecutore, un incapace, un profittatore. Se questi vissuti affiorano alla coscienza il paziente manifesterà aggressività e rabbia. Se al contrario rimangono a livello inconscio, potrebbero svilupparsi sentimenti depressivi e di ansia. È spesso possibile individuare uno o più fattori trigger che hanno scatenato lo switch: uno spostamento di appuntamento, un ritardo, le ferie del terapeuta, una critica (vera o presunta), una confrontazione sulle regole, eccetera.
Il terapeuta può avere difficoltà a trovare il punto di confine tra un transfert che aiuta la terapia e un transfert idealizzante che la mette in pericolo. Il lavoro sul rischio di viraggio svalutante va portato avanti quando il rapporto con il paziente mostra aspetti di idealizzazione irrealistica.
Reazioni di transfert negativo
Le persone dipendenti sono portatrici di grave psicopatologia frequentemente associata a comportamenti o atteggiamenti antisociali. Sono pazienti difficili e talora sgradevoli. Ciò comporta che l’operatore sia chiamato spesso a confrontarsi e gestire un transfert negativo.
Molti giocatori presentano una spiccata tendenza alla competitività: la polarità vincere-perdere si presenta anche al di fuori delle situazioni di gioco, nelle relazioni quotidiane e in terapia. Per questi pazienti l’agonismo rappresenta, come il narcisismo, una stampella alla fragile autostima. Spesso la competizione viene agita col terapeuta ponendo dubbi su scelte teoriche, aprendo dibattiti filosofici, impostando giochi di potere all’interno della relazione. Il terapeuta corre il rischio di farsi intrappolare e di diventare rigido e difensivo. D’altro canto, è evidente che nessun terapeuta è onnisciente e infallibile e che qualsiasi paziente, volendo, può avere il sopravvento sul proprio terapeuta; ciò che forse va perseguita è la possibilità di un esito vincita-vincita in terapia.
Il diniego e la resistenza al trattamento sono probabilmente le più comuni forme di transfert negativo osservabile nei trattamenti dei soggetti con dipendenza. Contro di esse in passato venivano introdotti interventi di confrontazione, anche dura, che mettevano il paziente nelle condizioni di resistere ancora più tenacemente oppure di cedere, travolto dall’ansia di abbandono. Attualmente, con il giocatore resistente si interviene mediante il rinforzo motivazionale e con l’incoraggiamento a comprendere le conseguenze del suo comportamento rispetto al contenimento del gioco, alla sua vita emotiva e alle relazioni. La confrontazione, quando presente, è più delicata ed è prevalentemente il rispecchiamento del dato di realtà. Il paziente dovrebbe precocemente essere incoraggiato a mettere in pratica specifici cambiamenti comportamentali. È molto frequente che l’astensione dal gioco e il trattamento siano visti come una imposizione esterna. La polarizzazione “per me stesso/per gli altri” ricalca quella “vincita/perdita” ed è il frutto di un atteggiamento cognitivo del tipo tutto/nulla.
Reazioni di controtransfert
Il transfert positivo o negativo avrà sempre una ricaduta sugli affetti dell’operatore. Le reazioni emotive del terapeuta sono un fatto del tutto normale e parte integrante della terapia. Il terapeuta esperto potrà farsi aiutare dalle proprie reazioni per una migliore decodifica delle comunicazioni e delle esperienze interne del giocatore. Dovrà in ogni caso porre attenzione al rischio di agire i propri stati emotivi e mettere così in pericolo la terapia.
Analogamente a quanto visto a proposito del transfert positivo, il terapeuta deve considerare l’ipotesi che una reazione controtransferale idealizzata potrebbe interferire con il trattamento. Giocatori problematici ad alto livello di funzionamento, brillanti, colti, potrebbero in realtà caratterizzarsi per un umore ipomaniacale. Il terapeuta solitamente accoglie con grande favore pazienti di questo tipo che rendono la seduta piacevole, “leggera” e gratificante. Tuttavia, potrebbe non riuscire a vedere gli aspetti difensivi legati a questo atteggiamento: superficialità, scarso impegno sostanziale, proiezione all’esterno delle responsabilità, talora disonestà. Particolare accortezza va posta a evitare di schierarsi nel caso di conflitti tra paziente e familiari, o con altri operatori dell’equipe. Nel caso di certificazioni o perizie medico-legali appare inappropriato qualsiasi tentativo diretto a evitare che il paziente accetti le proprie responsabilità.
Il controtransfert negativo può rappresentare una risposta speculare a un corrispondente transfert del paziente, esplicito o implicito: il terapeuta risponde in modo competitivo alla competitività del giocatore, aggressivamente alla aggressività, criticamente alle critiche. Il terapeuta inesperto o poco sicuro di sé cercherà di ottenere una “superiorità” e il controllo della relazione col paziente attraverso modalità inadeguate, accusandolo, umiliandolo, sottomettendolo.
Pazienti con caratteristiche antisociali o gravemente narcisistiche possono presentarsi con un atteggiamento sprezzante e svalutativo, talora intimidatorio. Frequentemente entra in azione la scissione dell’oggetto per cui tali comportamenti sono riservati solo a una parte dello staff e ciò tende a stimolare risposte differenziate e inadeguate da parte degli operatori a seconda del tipo di relazione che il paziente assume con essi. Si possono quindi creare fazioni di operatori “buoni” e “cattivi” all’interno dell’equipe: gli uni possono considerare responsabili gli altri per i comportamenti del paziente. Le riunioni di equipe diventano terreno in cui si ripropongono contrapposizioni rigide già esistenti in famiglia, con conflitti in cui ciò che viene perso è l’atteggiamento esplorativo e l’approccio empirico. Diventa indispensabile in questi casi che ogni operatore possa riflettere sulle proprie emozioni controtransferali e diventare consapevole degli effetti della presenza di pazienti così destabilizzanti sull’intera equipe. Queste dinamiche possono riprodursi anche nel rapporto tra famiglia ed operatori.
Similmente a quanto accade al giocatore che prima idealizza il terapeuta per poi passare bruscamente all’atteggiamento opposto di svalutazione, anche il terapeuta potrebbe sperimentare improvvisi switch da sentimenti positivi a negativi. Ciò potrebbe accadere nel caso emerga che il giocatore, come tutti i soggetti con una dipendenza patologica, ha mentito e ingannato il terapeuta, oppure ha nascosto che è ricaduto. La paura di venir “fregati” dal paziente può generare risposte inadeguate per un contesto terapeutico, ad esempio adottare comportamenti di ipercontrollo. Tuttavia, realisticamente, nessun operatore è capace di evitare gli inganni. Questi atteggiamenti facilmente irritano il terapeuta o gli fanno perdere fiducia nel trattamento in corso, ma chi lavora con le persone dipendenti deve essere in grado di sostenere ed elaborare le ferite narcisistiche, meglio se con un lavoro di supervisione.
Ulteriori espressioni di reazione controtransferale disfunzionale sono: guardare insistentemente l’orologio durante la seduta, percepire un senso di pesantezza all’idea di incontrare il paziente, evitare di richiamarlo telefonicamente quando necessario, tutte manifestazioni di distacco e disinvestimento da parte del terapeuta.
Può essere particolarmente arduo trovare una giusta distanza con pazienti che presentano un disturbo di dipendenza poiché si pongono in costante necessità di aiuti urgenti, hanno comportamenti disturbati, tendono ad imporre la loro situazione, manifestano resistenze, rabbia o, al contrario, dipendenza adesiva e insaziabile; possono inoltre essere manipolativi e intimidatori. Il rischio maggiore è la perdita della alleanza tra operatori, cioè la maggiore risorsa a disposizione della terapia.
Cosa ci insegna il lavoro di Rugle e Rosenthal
Diciamo subito che gli Autori non propongono un punto di vista rivoluzionario: la letteratura psicoanalitica ha prodotto moltissimo sulle relazioni affettive tra pazienti gravi ed equipe curante, basti pensare, ad esempio, ad Autori della scuola Kleiniana come Bion (1962), Racker (1968), Rosenfeld (1965), all’estesa letteratura sul concetto di identificazione proiettiva (Sandler, 1987), e agli scritti di Searles (1979) e Kernberg (1984), solo per fare qualche nome. Rugle e Rosenthal hanno avuto il merito di descrivere le principali dinamiche affettive e relazionali che caratterizzano il trattamento dei giocatori (e delle persone con altre dipendenze). Ci ricordano che le problematiche transferali e controtransferali non esistono solamente nell’ambito di una psicoterapia, ma coinvolgono l’equipe nel suo complesso: sono dinamiche umane inevitabili che emergono nell’ambito della relazione d’aiuto, diadica o diluita. Gli affetti sono fondamentali per la terapia, sia in senso positivo che negativo. Tutti gli operatori sono chiamati a comprendere e gestire nel modo più adeguato possibile il rapporto e le comunicazioni con il paziente e con i colleghi: questo fatto è ineludibile e mette in gioco anche la stessa nostra salute mentale. Le cattive relazioni erodono progressivamente le motivazioni e il benessere dell’operatore. Appare quindi indispensabile ritornare ad un modello di clinica che aiuti gli operatori a dare un senso a quello che accade nelle interazioni con i pazienti fortemente disturbati (e le persone con dipendenza generalmente lo sono). Purtroppo con la “caduta in disgrazia” dei modelli psicodinamici, accusati (non a torto) di essere fuori dalla pratica evidence-based, si è gettato il bimbo insieme all’acqua sporca. I servizi si sono impoveriti di un sapere e di una sensibilità che predisponeva gli operatori a valorizzare le risonanze affettive per decodificare sempre meglio il rapporto terapeutico e a mettere in discussione le proprie modalità. Qualcuno scrisse che ogni innovazione costringe la Chiesa a tornare alle proprie origini e al nucleo fondativo del proprio credo. Analogamente ritengo che ogni medico, indipendentemente dalla propria specializzazione, dovrebbe riflettere sui principi cardine della professione sanitaria, che sono essenzialmente etici, relazionali e psicosociali (Engel, 1973).
Bibliografia
Engel G.L. (1973), Enduring Attributes of Medicine Relevant for the Education of the Physician. Annals of Internal Medicine, 78:587-593, 1973.
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