Questo articolo è stato pubblicato su: ALEA Bulletin, 2020; VIII/3: 37-42.
Il Canadian Problem Gambling Index-CPGI è un questionario utilizzato per individuare i giocatori problematici nella popolazione generale. Esso è costituito da item cui viene assegnato un punteggio e altri item che invece non lo ricevono. Le ricerche scientifiche in cui è impiegato il CPGI riportano solitamente i risultati ottenuti con l’uso della sola parte quantitativa, che a rigore dovrebbe essere denominata Problem Gambling Severity Index-PGSI. Purtroppo, l’uso di diverse denominazioni nelle pubblicazioni scientifiche può aver contribuito a confondere i lettori. Inoltre in Italia circolano differenti traduzioni della scala, il che non facilita il raccapezzarsi. Con gli anni è stato sempre più evidente che attorno al CPGI/PGSI si stavano creando malintesi tra gli operatori dei servizi che, pur usando strumenti testistici, non hanno il tempo di valutare approfonditamente tutti gli aspetti relativi alle scale. Inoltre, come spesso accade anche con altre rating scale, il campo di utilizzo del CPGI tende ad ampliarsi includendo anche il contesto clinico. In questo breve contributo si cercherà quindi di fare un po’ di chiarezza sulle sue principali caratteristiche, i vantaggi e le avvertenze.
Lo sviluppo del CPGI/PGSI
Il CPGI nasce sotto la spinta a superare alcuni problemi derivati dall’uso del South Oaks Gambling Screen-SOGS di Lesieur & Blume (1987) nelle ricerche epidemiologiche sulla popolazione generale. Il SOGS è probabilmente il questionario più conosciuto e utilizzato nella clinica del disturbo da gioco d’azzardo (DGA). Ispirato ai criteri della terza edizione del Manuale Diagnostico Statistico (DSM-III e III-R), era stato sviluppato per supportare i clinici nella diagnosi di Gioco d’Azzardo Patologico. Successivamente il SOGS è stato impiegato anche in ricerche epidemiologiche nella popolazione generale, sia adulta che adolescente. In questi casi però si evidenziava che esso tendeva a sovrastimare significativamente i dati di prevalenza, e inoltre si mostrava per varie ragioni inadatto allo studio della popolazione adolescente.
Nel tentativo di superare questi problemi, i ricercatori canadesi Ferris e Wynne (2001) svilupparono un nuovo questionario, il Canadian Problem Gambling Index-CPGI, a partire da una visione più olistica in grado di leggere meglio il fenomeno del gioco d’azzardo problematico (GP) nel contesto sociale. Quindi gli Autori non guardarono al GP da un punto di vista unicamente clinico, in termini di comportamenti e cognizioni della persona, bensì come fenomeno a valenza sociale, costituito sia dai comportamenti che dalle conseguenze dannose per l’individuo e per il suo ambiente. Sulla base di tale concezione ne è risultato un questionario di 31 item, 9 dei quali ricevono un punteggio atto a misurare la prevalenza del gioco problematico nella popolazione, mentre i rimanenti 22 item rappresentano degli indicatori di coinvolgimento del soggetto nell’azzardo, in grado di arricchire la descrizione e consentire di individuare differenti profili di giocatore d’azzardo. Si tratta quindi di un questionario originariamente non destinato alla clinica e che non individua una diagnosi, bensì un livello di problematicità. In questo senso era obiettivo degli Autori che gli item del CPGI riuscissero a intercettare anche quei giocatori d’azzardo che non rispondono al profilo prototipico del paziente in carico ai servizi.
La struttura del CPGI
Il CPGI è formato da 3 sezioni: 1) coinvolgimento nell’azzardo, 2) valutazione del GP, 3) correlati del gioco d’azzardo, cui può essere aggiunta una ulteriore sezione di tipo anagrafico, secondo necessità. Nella prima sezione (4 item) vengono raccolte informazioni sul tipo di gioco d’azzardo preferito, la frequenza, il denaro e il tempo speso per giocare negli ultimi 12 mesi.
La seconda sezione è composta da 12 item, di cui i primi 9 ricevono un punteggio da 0 a 3 a seconda della risposta ottenuta (mai, a volte, spesso, quasi sempre). Gli item con punteggio costituiscono lo strumento quantitativo in grado di misurare il livello di problematicità del gioco d’azzardo del soggetto: con la denominazione di Problem Gambling Severity Index ci si riferisce unicamente a questa porzione di 9 item. Il PGSI parametra il comportamento di gioco in crescenti livelli di rischio: giocatore non problematico (0 punti), giocatore a basso rischio (1-2 punti), giocatore a rischio moderato (3-7 punti), giocatore problematico (8 punti o più, con un massimo di 27 punti). Su questa sezione quantitativa torneremo tra poco.
La terza sezione (15 item) indaga i correlati del comportamento di gioco d’azzardo: si tratta di un insieme di item che esplorano conseguenze avverse, personali e sociali, errori cognitivi, problemi familiari, esperienze di vincita o perdita precoci, comorbilità, stress, depressione e pensieri suicidari.
Le proprietà psicometriche
Il PGSI ha dimostrato di possedere buone caratteristiche psicometriche. In termini di validità ad esempio, ha mostrato una buona correlazione con le misure del SOGS, dei criteri DSM, e con la valutazione clinica. Il PGSI misura effettivamente una unica dimensione (il gioco problematico) sia nei maschi che nelle femmine. L’affidabilità nel retest è soddisfacente, pur se non elevatissima. Il punteggio di cut off è tale da minimizzare i falsi positivi e massimizzare i veri positivi (sensibilità). La specificità (esclusione dei veri negativi) è risultata ancora migliore.
La validità classificatoria appare più solida per quanto riguarda l’individuazione dei due estremi del continuum di gravità, ovvero dei giocatori problematici (8 punti o più) e di quelli non problematici (zero punti). Al contrario, essa è più incerta per i livelli intermedi (rischio basso e moderato). Currie e Coll. (2013) hanno rilevato infatti che tra giocatori a basso rischio e a rischio moderato non vi sono differenze significative in molte variabili. Per migliorare la capacità discriminatoria del PGSI gli Autori suggeriscono due vie: A) unificare le due categorie intermedie, individuando un unico livello di rischio, con un punteggio del PGSI di 1-7; oppure B) modificare le fasce intermedie di punteggio: gioco a basso rischio (1-4 punti), gioco a rischio moderato (5-7 punti), ipotesi questa preferita dai tre Autori. Nonostante queste puntualizzazioni, la maggioranza dei ricercatori sembra continuare a far riferimento ai cut off tradizionali.
Nelle principali ricerche epidemiologiche condotte nel nostro Paese è stato utilizzato il PGSI, ad esempio dall’Istituto Superiore di Sanità e dal CNR. Quest’ultimo ha provveduto a pubblicare la versione validata in italiano (Colasante et al., 2013). Va citata infine, per completezza, una versione breve a 3 item della PGSI (PGSI Short Form) (Volberg & Williams, 2012) la quale dovrebbe essere utilizzata solamente nelle ricerche sulla popolazione generale.
L’utilizzo del PGSI nel contesto clinico
Negli anni più recenti è stato osservato un progressivo ampliamento dell’uso del PGSI in ambito clinico. Se da un lato è ormai generalmente accettato che esso sia uno strumento affidabile per valutare i diversi livelli di gravità dei comportamenti di gioco d’azzardo a livello di indagine di popolazione, più discutibile è la scelta di estenderne l’uso nelle popolazioni cliniche. Non è detto infatti che lo strumento abbia sensibilità e specificità sufficienti per discriminare differenti sottogruppi di giocatori problematici in base alla loro gravità. In altri termini, non è scontato che i punteggi superiori agli 8 siano in grado di individuare condizioni di gravità clinica crescente.
Merkouris e Coll. (2020) hanno studiato il comportamento del PGSI in un campione di giocatori che avevano richiesto aiuto attraverso una piattaforma online e il cui punteggio era superiore a 8. Rilevarono, mediante una analisi delle classi latenti (LCA), che la migliore soluzione classificatoria era ottenuta con 2 classi, ciò stando ad indicare che i giocatori problematici potevano essere ulteriormente distinti in due sottogruppi a gravità crescente. Il nuovo cut off in grado di discriminare tra gioco problematico a bassa gravità e gioco problematico ad elevata gravità risultò eguale a 19, valore su cui convergevano diverse metodologie di stima. Questa classificazione inoltre appariva coerente con la gravità misurata con il G-SAS (Gambling Symptom Assessment Scale, Kim et al., 2009).
Uno studio più qualitativo è quello di Young e Wohl (2011) che confronta direttamente il CPGI (la versione completa del questionario!) con il SOGS. Un campione di 44 giocatori che richiedevano un trattamento furono testati all’ingresso con entrambi i questionari e successivamente visti da un clinico esperto nel campo dell’azzardo patologico. Furono quindi valutati i risultati dei due test e il parere degli esperti. La correlazione tra la valutazione dell’operatore e i punteggi dei due test risultò moderata. L’accordo dei clinici con il CPGI sulla classificazione dei pazienti era superiore rispetto a quella ottenuta con il SOGS: quest’ultimo in particolare tendeva a sovrastimare la gravità. In generale i clinici ritennero che la classificazione ottenuta con i test non fosse utile al fine di programmare un trattamento. Ciò nonostante giudicarono vantaggioso, per varie ragioni, avere una misurazione standardizzata. Valutarono infine che gli item senza punteggio del CPGI erano più informativi rispetto a quelli del SOGS.
Conclusioni
Aggiungerei alcune considerazioni finali relative all’uso del CPGI/PGSI.
– L’uso clinico del CPGI non è supportato da molte ricerche empiriche e pertanto richiede prudenza. Per le stesse ragioni una ancor maggiore attenzione va poste nell’uso clinico del solo PGSI.
– Va ricordato che il questionario NON è diagnostico: pur se la correlazione con la classificazione DSM è elevata, il PGSI non restituisce una diagnosi. Va detto comunque che l’ICD 10 dell’OMS prevede criteri meno stringenti per fare diagnosi rispetto al sistema DSM. Nel caso si desideri un test a supporto della diagnosi clinica secondo i criteri DSM, sarebbe meglio utilizzare altri strumenti più specifici: si veda ad esempio il lavoro di Bellio (in corso di stampa), per alcuni suggerimenti.
– La determinazione della gravità del quadro clinico è un compito complesso che deve tener conto di molte variabili, non solo quelle relative al paziente. Intendiamo qui per gravità, quell’insieme di fenomeni e situazioni che condizionano il programma e i setting di trattamento, la durata della presa in carico, la compliance e la prognosi. Va quindi tenuto presente che la quantificazione della gravità, ottenuta con l’uso di strumenti psicometrici agili e rapidi, è un dato parziale.
– Suggerirei di porre attenzione alla terminologia utilizzata quando si restituisce il valore ottenuto con il PGSI a persone non esperte, come ad esempio gli amministratori locali e la popolazione. Il questionario infatti, al di là della individuazione dei casi problematici, restituisce categorie di “rischio”, basso o moderato. In una indagine di popolazione, a mio giudizio, a parlare di rischi si potrebbe venir fraintesi. Il termine, appunto, farebbe pensare a una potenzialità di danno più che a un danno effettivo. Al contrario, diverse ricerche hanno dimostrato che anche a bassi livelli di rischio sono evidenziabili danni (si veda ad esempio Delfabbro et al., 2020). Alcuni Autori addirittura sostengono che, anche nel caso dei comportamenti d’azzardo, è applicabile il cosiddetto paradosso della prevenzione, secondo cui a livello di comunità i più bassi livelli di gravità comportano un maggiore carico di danno complessivo. Ciò è dovuto al fatto che il pur modesto valore dei danni correlati al basso livello di gravità va moltiplicato per l’elevato numero di persone che rientrano in questa categoria di giocatori. Pur se le modalità di calcolo dei danni siano discusse, resta assodato che un punteggio non zero al PGSI comporta spesso la presenza di effettivi danni azzardo correlati. A questo proposito vale la pena di notare che Ferris e Wynne definiscono il giocatore con punteggio zero “non problem gambler”, il che farebbe pensare che anche a punteggi immediatamente superiori qualche problema già ci sia.
Bibliografia
Bellio, G. (in corso di stampa). La valutazione in ingresso nella clinica del disturbo da gioco d’azzardo. In: O. Casciani. & C. Primi (Eds), Gambling Pathways Questionnaire (GPQ): manuale d’uso per il clinico. Publiedit, Cuneo.
Comments are closed