Il disturbo da gioco d’azzardo (DGA) condivide con le altre dipendenze la tendenza a complicarsi con disturbi psichiatrici, inclusi i disturbi di personalità. Il rapporto tra DGA e comorbilità è lo stesso già noto per le dipendenze da sostanze: la comorbilità infatti può essere primaria, originata prima della dipendenza; secondaria, originata successivamente alla dipendenza e in rapporto causale stretto con essa; indipendente, quando le due patologie originano indipendentemente l’una dall’altra, ma spesso condividendo fattori di rischio e/o scatenanti. Per il clinico è forse ancora più importante la consapevolezza che le due patologie interagiscono, generalmente peggiorando la reciproca evoluzione.
Il modello patogenetico (MP) di Blaszczynski e Nower (2002) ha postulato che l’esistenza di una vulnerabilità emotiva possa essere per il giocatore un importante fattore di rischio e di evoluzione verso il gioco problematico o patologico (GPP). Il concetto di vulnerabilità emotiva è ben più ampio di quello di comorbilità psichiatrica, e, sebbene la seconda sia inclusa nella prima, non si identifica con essa. Il MP sottolinea l’importanza della vulnerabilità non solo come fattore di rischio per l’esordio, ma pure come fattore che alimenta la tendenza a giocare ripetutamente e senza controllo. Il soggetto vulnerabile emotivamente infatti trova nell’azzardo un importante rinforzo negativo: il comportamento di gioco infatti porta sollievo alla persona che soffre di un disturbo, ad esempio ansia o depressione, o che comunque prova un disagio interiore. Viene comunemente affermato che in questi casi l’azzardo induce uno stato di “dissociazione” nel quale il soggetto si isola dagli stimoli esterni ed interni e si concentra unicamente sugli eventi di gioco. Il termine “dissociazione” è largamente usato sebbene non sia corretto sul piano psicopatologico e nosografico: questi giocatori infatti risultano generalmente negativi agli accertamenti sulla presenza di un disturbo dissociativo. Quello che accade al giocatore è infatti un restringimento dello stato attentivo e di coscienza che ricorda il cosiddetto stato crepuscolare.
La presenza di un quadro comorbile incide sia sul trattamento che sulla prognosi del DGA. Infatti la compresenza dei due disturbi crea una stretta interrelazione, indipendentemente da quale dei due risulti essere quello primario. I disturbi psichiatrici più frequentemente associati al DGA nella popolazione clinica degli ambulatori per il gioco problematico sono: la dipendenza da nicotina, da alcol e/o altre sostanze, i disturbi di personalità, i disturbi affettivi (d’ansia o dell’umore) (Dowling et al., 2015). I disturbi psicotici, e la schizofrenia in particolare, sembrerebbero essere molto meno presenti e forse per tale motivo sono stati finora poco studiati. Va tuttavia considerato che sia la schizofrenia, più in generale le psicosi, sia il DGA sono significativamente diffuse nella popolazione, e soprattutto tendono alla cronicità e sono causa di un peso assistenziale notevole per i servizi, in termini di costi sociali e di consumo di risorse assistenziali. Se i servizi dipendenze sono interessati all’argomento soprattutto per le ricadute trattamentali sul problema della dipendenza dall’azzardo, i servizi di psichiatria hanno il problema di individuare il più precocemente possibile chi, tra i loro pazienti psicotici, gioca in modo rischioso pur se non necessariamente con un rilevante discontrollo. Infatti, lo stigma morale che ricade su chi gioca d’azzardo rende i pazienti tendenzialmente restii a rivelare il loro comportamento e quanto ne sono coinvolti, ciò tanto più quanto maggiore è la problematicità dell’azzardo. È quindi un comportamento tendenzialmente nascosto e ciò complica molto un eventuale screening. Inoltre c’è da chiedersi quanto siano sensibilizzati gli psichiatri al problema: è stato necessario un lungo lavoro di collaborazione, tuttora in corso, per incrementare l’attenzione degli operatori dei centri di salute mentale verso le dipendenze. Essa appare maggiore per l’abuso di droga e per l’abuso di alcol, minore per il tabagismo, ancora più piccola per il gioco d’azzardo, anche nei pazienti schizofrenici (con lodevoli eccezioni, naturalmente).
Cosa ci dicono gli studi principali
Desai e Potenza (2009) hanno realizzato negli Stati Uniti il primo studio di prevalenza trasversale su un campione abbastanza esteso di pazienti con disturbo schizofrenico e schizoaffettivo in trattamento (n. 337). Il 19% dei pazienti intervistati mostrarono un gioco problematico o patologico (GPP). Ancor più significativo è l’aver evidenziato che il gioco eccessivo si correla a maggiori livelli di depressione, ad un maggiore consumo di alcol, e a un più elevato livello di consumo assistenziale ambulatoriale.
Aragay e Coll. (2012) studiarono invece un campione di 100 pazienti psichiatrici spagnoli ricoverati, confrontandoli con altrettanti pazienti non psichiatrici ricoverati presso reparti diversi: si tratta quindi di pazienti indagati nel corso di situazioni sufficientemente gravi da richiedere un trattamento ospedaliero. Il 3% dei pazienti somatici dichiarava un GPP, contro il 9% dei pazienti psichiatrici (8% risultò giocatore patologico, 1% problematico), con una prevalenza quindi tre volte superiore al gruppo di controllo. Due terzi dei pazienti psichiatrici con GPP avevano una diagnosi di psicosi, mentre un terzo aveva altre diagnosi. Da notare che la distribuzione diagnostica in tutto il campione psichiatrico, quindi non solo i giocatori, risultava a percentuali invertite, un terzo del totale psicotici, due terzi altre diagnosi. Il rischio di GPP non era distribuito omogeneamente tra le diagnosi.
Uno studio condotto in Australia (Haydock et al., 2015) in un ampio campione di pazienti psicotici (n.442) ha rilevato che il 34% dei soggetti aveva giocato d’azzardo nel corso dell’ultimo anno. Il 4.1% del campione complessivo mostrava un comportamento di gioco a basso rischio, il 6.4% un rischio moderato, mentre il 5.8% era giocatore problematico. I giocatori a rischio moderato o problematici mostravano di essere prevalentemente maschi, con abbandono scolastico e scarse qualificazioni professionali, consumo di sostanze, consumo problematico di alcol, e di ricercare maggiormente aiuti economici.
Un recente studio italiano (Bergamini et al., 2018) ha indagato un importante campione di pazienti (n. 900) afferenti a due centri di salute mentale del Bresciano. Lo studio ha rilevato che il 4.1% del campione risultava avere un gioco a basso rischio, il 2% a rischio moderato e il 3.3% avere un gioco problematico. La distribuzione per diagnosi non ha mostrato significative differenze. Tra i fattori associati al comportamento di gioco vengono citati la familiarità per DGA, uso di sostanze, fumo di tabacco, due o più diagnosi psichiatriche. Sebbene i dati emersi dallo studio di Brescia mostrino minori livelli di comorbilità tra DGA e patologie psichiatriche rispetto agli studi americani e australiano, vanno tuttavia sottolineate alcune cose:
a) il 53% dei pazienti psichiatrici ha giocato nell’ultimo anno, contro il 36% della popolazione generale (Istituto Superiore di Sanità-Agenzia Dogane e Monopoli, 2018);
b) i livelli di comportamenti di gioco a rischio ricalcano da vicino i valori della popolazione generale italiana, sempre secondo la ricerca dell’Istituto Superiore di Sanità (2018);
c) va attentamente valutato cosa si intende per rischio “accettabile” in una popolazione fragile come quella dei pazienti psichiatrici e degli psicotici in particolare.
Gli studi di Haydock e coll. (2015) e di Bergamini e Coll. (2018) hanno misurato i comportamenti di gioco con il questionario Problem Gambling Severity Index (Ferris & Wynne, 2001) i cui risultati vengono espressi in tre livelli di “rischio”. In realtà, gli item misurano non tanto i rischi, quanto piuttosto veri e propri comportamenti o cognizioni problematici. Da ciò è chiaro che, anche quando si parla di giocatore a basso rischio, siamo comunque di fronte ad alcuni problemi. Complessivamente, anche nel campione di Bergamini e Coll. la problematicità complessiva è di poco inferiore al 10%. Al di là della necessità di esplorare ulteriormente la popolazione psichiatrica, e psicotica in particolare, per avere dati più affidabili e certi, il problema clinico rimane chiaro: il gioco d’azzardo può avere un peso significativo sull’andamento della malattia psichiatrica, la sua cura, e le condizioni sociali ed economiche dei pazienti. La frequente associazione con l’abuso di sostanze e di alcol rende la questione ancora più spinosa. Da tener conto quindi che l’abuso di alcol o sostanze potrebbe essere considerato un indicatore di rischio anche per il GPP.
Come già detto in precedenza, i giocatori con vulnerabilità emotiva si caratterizzano per il peso più rilevante rappresentato dal rinforzo negativo, il sollievo da condizioni di disagio psichico che il gioco ripetitivo (ad esempio slot machine e lotterie istantanee) è in grado di procurare. Ciò non esclude la concomitante presenza di altri rinforzi, ad esempio il rinforzo positivo derivante dall’eccitamento vissuto come piacevole. Un recentissimo lavoro di Fortgang et al. (2020) mostra che le motivazioni a giocare di pazienti schizofrenici/schizoaffettivi appaiono in coerente relazione alle specifiche configurazioni sintomatologiche della psicosi evidenziate con la scala PANSS. La maggiore gravità dei sintomi psicotici appare correlarsi con le motivazioni economiche, forse mediate da distorsioni cognitive anche su base delirante. La maggiore gravità dei sintomi negativi o delle forme disorganizzate mostra minore tendenza a giocare per socializzare e stabilire relazioni interpersonali. Tuttavia, intervistando approfonditamente alcuni pazienti schizofrenici giocatori patologici, Yakovenko e Coll. (2016) rilevarono che alcuni di essi cercavano nell’azzardo un modo per eludere la sensazione di esclusione dal mondo e dai rapporti sociali. Inoltre i pazienti riferivano una connessione reciproca tra sintomi psicotici e azzardo: da un lato la sintomatologia psichica peggiorava con l’esito negativo delle scommesse, dall’altro la tendenza all’azzardo era incrementata dagli stati d’animo negativi e dalle convinzioni patologiche di controllo sull’esito delle scommesse. Solo un paziente su otto riferì che il curante aveva indagati i suoi comportamenti di gioco d’azzardo.
In conclusione
Sebbene siano necessari, almeno nel nostro Paese, ulteriori approfondimenti sulla prevalenza di GPP nei pazienti psichiatrici e in particolare nei soggetti con psicosi, il peso assistenziale della comorbilità sembra essere significativo, vista la tendenza all’aggravamento reciproco della sintomatologia, l’associazione frequente di sintomi depressivi e di abuso di alcol e/o altre sostanze. Appare auspicabile inoltre che i servizi di salute mentale affinino le loro abilità di screening per il gioco problematico. Attenzione andrebbe posta a qualsiasi livello di comportamenti di gioco d’azzardo e non solamente ricercare un disturbo diagnosticabile: anche le scommesse occasionali e il cosiddetto gioco sociale potrebbero evolvere rapidamente in questi soggetti problematici e fragili. L’azzardo potrebbe essere sostenuto sia dai sintomi di produttività delirante, sia dalla compromissione cognitiva e sociale. Da non sottovalutare inoltre l’aggravamento del rischio suicidario nei soggetti comorbili. Tutto ciò comunque merita ulteriori studi.
Dal punto di vista degli ambulatori per il gioco problematico resta il problema di come trattare questi difficili pazienti, ma si rimanda il tema ad un ulteriore, futuro contributo.
Bibliografia
Aragay, N., Roca, A., Garcia, B., Marqueta, C., Guijarro, S., Delgado, L., Garolera, M., Alberni, J., & Vallès, V. (2012). Pathological gambling in a psychiatric sample. Comprehensive Psychiatry, 53(1), 9–14.
Bergamini, A., Turrina, C., Bettini, F., Toccagni, A., Valsecchi, P., Sacchetti, E., & Vita, A. (2018). At-risk gambling in patients with severe mental illness: Prevalence and associated features. Journal of Behavioral Addictions, 7(2), 348–354.
Blaszczynski, A., & Nower, L. (2002). A pathways model of problem and pathological gambling. Addiction, 97(5), 487–499.
Desai, R. A., & Potenza, M. N. (2009). A cross-sectional study of problem and pathological gambling in patients with schizophrenia/schizoaffective disorder. The Journal of Clinical Psychiatry, 70(9), 1250–1257.
Dowling, N. A., Cowlishaw, S., Jackson, A. C., Merkouris, S. S., Francis, K. L., & Christensen, D. R. (2015). Prevalence of psychiatric co-morbidity in treatment-seeking problem gamblers: A systematic review and meta-analysis. The Australian and New Zealand Journal of Psychiatry, 49(6), 519–539.
Ferris, J., & Wynne, H. (2001). The Canadian Problem Gambling Index: User manual. Canadian Centre on Substance Abuse, Ottawa.
Fortgang, R. G., Hoff, R. A., & Potenza, M. N. (2020). Schizophrenia symptom severity and motivations for gambling in individuals with schizophrenia or schizoaffective disorder. Psychiatry Research, 291, 113281. Advance online publication.
Haydock, M., Cowlishaw, S., Harvey, C., & Castle, D. (2015). Prevalence and correlates of problem gambling in people with psychotic disorders. Comprehensive Psychiatry, 58, 122–129.
Istituto Superiore di Sanità-Agenzia Dogane e Monopoli (2018). Il gioco d’azzardo in Italia. Rapporto sulla ricerca (2016-2019), Roma, 2018.
Yakovenko, I., Clark, C. M., Hodgins, D. C., & Goghari, V. M. (2016). A qualitative analysis of the effects of a comorbid disordered gambling diagnosis with schizophrenia. Schizophrenia Research, 171(1-3), 50–55.
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