Epidemiologia

Il Disturbo da gioco d’azzardo (DGA), similmente a ogni dipendenza, si complica frequentemente con altri disturbi mentali, compresi i comportamenti di addiction chimica e i disturbi della personalità. Inoltre, una vulnerabilità emotiva, seppur non sempre rappresentata da una patologia psichica diagnosticabile, è un fattore di rischio importante nel percorso evolutivo del giocatore patologico e ne condiziona il decorso, la prognosi e il trattamento (Blaszczynski & Nower, 2002).

Due revisioni della letteratura e metanalisi relative a studi su giocatori patologici in trattamento hanno stimato la prevalenza di una malattia mentale al 75% dei casi, e di un disturbo di personalità al 50%, con un’ampia variabilità da studio a studio (Dowling et al., 2015a; 2015b). Le patologie comorbili più frequenti sono la dipendenza da nicotina (56%),  i disturbi dell’umore (soprattutto depressivi) (23%), il disturbo da uso di alcol (21%), e i disturbi d’ansia (in particolare fobie) (18%) (Dowling et al., 2015a). Alcuni disturbi di personalità del cluster B e C mostrano frequenze simili tra loro, intorno al 15% (Dowling et al., 2015b). I dati di prevalenza della comorbilità  nella popolazione generale sono un po’ diversi, così come in specifiche sottopopolazioni o in pazienti che richiedono trattamenti per un disturbo mentale. Comunque, anche in queste casistiche il rischio di comorbilità appare elevato (Kessler et al., 2008; Lorains et al, 2011; Manning et al., 2017).

Uno studio condotto in Italia, nell’area di Bologna, (Pavarin, Fioritti et al., 2018) ha preso in esame tutte le nuove ammissioni, tra il 2000 e 2016, nei servizi per le dipendenze, nei servizi psichiatrici territoriali e negli ospedali, che presentassero il DGA come prima o seconda diagnosi. L’associazione con altri disturbi mentali era presente nel 31% dei casi (depressione 15%; ansia 11%; psicosi 4%; disturbo bipolare 4%). Una dipendenza da alcol era diagnosticabile nel 9% dei pazienti, da cocaina nel 4% da eroina nel 2.5%. Nell’80% dei casi il disturbo mentale aveva preceduto il DGA; anche la diagnosi di dipendenza da sostanze era precedente nel 75% dei casi.

Tra le diverse forme di comorbilità psichiatrica del DGA, ne verranno qui trattate due che rivestono particolare importanza pur se meno frequenti di quelle citate sopra: l’associazione con i disturbi psicotici da un lato, e con il deficit d’attenzione e iperattività (ADHD) dall’altro. La prima rappresenta un evento potenzialmente molto grave e con ripercussioni importanti sulla qualità di vita e sul decorso di entrambi i disturbi in soggetti già significativamente compromessi (si veda anche una precedente discussione del problema pubblicata su questo sito). La seconda aumenta il rischio di ricadute e cronicità, è poco riconosciuta e, di conseguenza, non viene trattata adeguatamente. Verranno infine discussi sommariamente i principi e le strategie che dovrebbero guidare il trattamento dei giocatori patologici comorbili.

DGA e disturbi psicotici

Nei pazienti psicotici il gioco d’azzardo può costituire un fattore di aggravamento insidioso, anche nelle sue forme sociali e moderate (Sankaranarayanan et al., 2024). Ciò è particolarmente vero nei casi di schizofrenia, disturbo che si accompagna di frequente a decorso cronico e deficit cognitivi e della critica. In alcuni pazienti queste difficoltà sono particolarmente evidenti e impattano negativamente sul trattamento dell’azzardo, soprattutto sulle componenti psicoeducative e razionali. Ad esempio, soggetti cognitivamente compromessi potrebbero avere difficoltà a sviluppare strategie protettive e modalità adeguate di gestione del denaro, avendo la tendenza a privilegiare i propri desideri, scelte e abitudini, pur se palesemente inadeguate e irrazionali. 

La prevalenza della comorbilità di disturbi psicotici e gioco d’azzardo problematico è relativamente bassa, ma non trascurabile, 5.6% (Corbeil et al., 2024a), con ampia variabilità tra i diversi studi. Il disturbo schizofrenico rappresenta la gran parte dei casi (Corbeil et al., 2024b). La comorbilità si associa a maggiore gravità sia del DGA che della psicosi, maggiore sofferenza psichica, una elevata impulsività e un maggior rischio sia di abuso di alcol o altre sostanze che di ulteriori disturbi mentali. Va anche ricordato che l’Aripiprazolo, un antipsicotico largamente utilizzato, ha ricevuto numerose segnalazioni come fattore di rischio per la perdita di controllo sul gioco d’azzardo, similmente agli antiparkinsoniani dopaminergici, presumibilmente a causa dell’azione agonista parziale per i recettori dopaminergici (Akbari et al., 2024).

Il paziente schizofrenico ha spesso importanti difficoltà ad avviare e mantenere un lavoro e di conseguenza presenta difficoltà economiche rilevanti e persistenti. Molti pazienti sono titolari di una pensione sociale insufficiente a garantire la sopravvivenza in autonomia. In questi casi la presenza di gioco d’azzardo, anche a livelli moderati, può impattare negativamente sulle condizioni e qualità di vita, nonché sulle relazioni familiari già messe a dura prova dalla malattia mentale. Paradossalmente, le difficoltà economiche potrebbero rappresentare anche una motivazione ad avviare e incrementare l’azzardo. L’impulsività elevata e la sofferenza mentale potrebbero inoltre spingere il paziente psicotico a utilizzare il gioco d’azzardo come fattore di modulazione emotiva e di risposta allo stress. Infine, il gioco d’azzardo potrebbe essere motivato dal desiderio di alcuni pazienti schizofrenici di perseguire una forma di (pseudo) socializzazione attraverso la frequenza di luoghi come i bar o le sale scommesse (Fortgang et al., 2020). Pertanto, gli operatori sia dei servizi psichiatrici che delle dipendenze patologiche dovrebbero monitorare attentamente qualsiasi comportamento di gioco e non sottovalutare mai il rischio che esso possa improvvisamente virare verso la perdita del controllo: potrebbe essere opportuno attivare interventi preventivi.

Sul piano del trattamento del DGA, la presenza di un disturbo psicotico si associa a difficoltà specifiche. Ad esempio una struttura di personalità di tipo paranoide, con sospettosità, diffidenza e idee persecutorie, potrebbe rendere problematica la gestione della relazione terapeutica e il mantenimento della alleanza. Il distacco emotivo, l’isolamento, il rallentamento e i disturbi formali del pensiero possono anch’essi mettere in difficoltà operatori non formati a trattare pazienti schizofrenici. L’elevata impulsività rende più laborioso il raggiungimento e il mantenimento dell’astensione dal gioco o comunque di un certo grado di limitazione. Sintomi negativi e deficit cognitivi impattano negativamente sul trattamento e sugli interventi riabilitativi di reinserimento. Infine, la presenza di elevata emotività espressa e di patologie mentali nei familiari potrebbero ridurre l’efficacia del supporto ambientale e richiedono trattamenti specifici.

Gli interventi per il DGA devono essere modificati e adattati al quadro clinico e alla gravità della patologia psichiatrica: questo è sicuramente il caso in cui il concetto di “personalizzazione delle cure” assume pieno significato. Sul piano generale, nonostante la sorprendente carenza di ricerche specifiche, i tradizionali trattamenti per l’azzardo (motivazionali, cognitivo comportamentali, autoaiuto)  sembrano efficaci anche nei giocatori con doppia diagnosi, psicosi comprese (Champine & Petry, 2010; Echeburua et al., 2017a). Tuttavia appare opportuno modificarne sia la durata che la metodologia, ad esempio coinvolgendo i familiari (Echeburua et al., 2017b).  Naturalmente il programma terapeutico per il DGA deve necessariamente integrarsi con il trattamento psichiatrico e delle altre dipendenze eventualmente presenti. Ulteriori dettagli verranno discussi più avanti.

DGA e disturbo da deficit d’attenzione e iperattività

Largamente ignorata per lungo tempo, l’associazione tra DGA e disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività (ADHD) è stata finalmente riconosciuta per la sua elevata prevalenza e rilevanza clinica. Il rischio che un giocatore problematico presenti sintomi ADHD è circa 4 volte maggiore che nella popolazione generale, con una prevalenza di circa il 18% (Theule et al., 2016). L’ADHD compare in età infantile, e comunque prima dei 12 anni, e si protrae in età adulta in circa il 50-60% dei casi (APA, 2022). Esso costituisce un importante fattore di rischio per lo sviluppo di una dipendenza chimica o comportamentale e pertanto va considerato anche sul piano della prevenzione del DGA, oltre che della cura. La comorbilità con ADHD solitamente si associa a precoce avvio dell’azzardo, elevata impulsività, maggiore gravità dell’azzardo, più alto rischio di sviluppare altri sintomi psicopatologici e abuso di alcol o di altre sostanze, maggiori problemi economici e lavorativi (Aymami et al., 2015; Brandt & Fischer, 2019). La spiccata impulsività rende questi soggetti particolarmente a rischio di ricaduta e cronicizzazione.

Generalmente, i giocatori d’azzardo che chiedono un trattamento e che mostrano sintomi ADHD non sono mai stati diagnosticati in precedenza e solitamente risultano etichettati con altre diagnosi psichiatriche come disturbi di personalità o disturbi d’ansia. Di conseguenza, sono proprio gli operatori del dipartimento per le dipendenze ad avere l’opportunità di porre per la prima volta la diagnosi corretta. Purtroppo però la diagnosi non è agevole. Esiste infatti una significativa sovrapposizione sintomatologica tra DGA e ADHD che può mascherare il secondo disturbo (Black & Shaw, 2019). Impulsività, disregolazione emotiva e fiammate colleriche, alterazioni dell’umore, iperfocus, irrequietezza, sono tutte manifestazioni comuni ai due quadri clinici. Nei soggetti adulti la diagnosi retroattiva al periodo infantile potrebbe essere particolarmente difficile: attenzione va posta al percorso scolastico e ai comportamenti in classe, avvalendosi, quando possibile, dei racconti dei genitori e della documentazione eventualmente conservata. Da tener presente, comunque, che la ricostruzione anamnestica da parte dei genitori non è sempre del tutto attendibile, specialmente per quanto riguarda l’età di esordio dei sintomi (Barkley et al., 2008).

La presenza di ADHD andrebbe sospettata e indagata in tutti i giocatori che presentano anamnesi e manifestazioni suggestive come difficoltà scolastiche e lavorative, comportamento infantile eccessivamente vivace con difficoltà relazionali, impulsività soprattutto di tipo attentivo o motorio, iperattività, improvvise esplosioni colleriche di breve durata, difficoltà attentive (che nell’adulto potrebbero essere mascherate e compensate attraverso scelte lavorative e stili comportamentali dal valore adattivo). Per facilitare la diagnosi si suggerisce l’uso di interviste strutturate mirate per paziente e familiari e scale specifiche. Utile, ma solamente per un primo screening, la somministrazione del questionario ASRS (Kessler et al., 2005). Naturalmente anche l’impulsività va valutata attentamente, con scale o task appropriati.

Una corretta diagnosi è fondamentale dal momento che l’ADHD è un disturbo trattabile. Il trattamento di prima scelta è farmacologico, e solitamente è di competenza di centri specializzati. Esso tuttavia va accompagnato a interventi non farmacologici, soprattutto di tipo cognitivo comportamentale e psicoeducativo (Nimmo-Smith et al., 2020), che potrebbero essere condotti nel servizio dipendenze, integrandoli alla terapia del DGA. Il paziente va accompagnato ad accettare il disturbo e a imparare strategie compensative, a strutturare nuove abitudini più adattive in grado di minimizzare i deficit attentivi, le frequenti dimenticanze, le procrastinazioni, a migliorare la compliance al trattamento farmacologico e la sua corretta gestione (Safren et al., 2017). In molti casi appare indicato anche l’intervento psicoeducativo con la famiglia (di origine o acquisita).

A complicare ancor più la situazione, va sottolineata la frequente associazione tra disturbi dello spettro autistico e ADHD, stimata intorno al 28% (Lord et al., 2018). Si dovrebbe considerare quindi l’associazione di DGA, ADHD e disturbi autistici tutt’altro che rara: un recente studio infatti ne stima la prevalenza intorno al 7% dei giocatori problematici in trattamento (So et al., 2023). Giocatori con entrambe le patologie mostrerebbero una maggiore gravità. Sono comunque necessari più studi per delineare con maggiore attendibilità questo fenomeno.

Alcune generalità sulle strategie di trattamento della comorbilità

La scarsità di ricerche sui trattamenti complessi e multimodali del DGA con comorbilità psichiatrica rende difficile strutturare delle conclusioni evidence based. Anche in linee guida recentissime (NICE, 2025) non sono reperibili sezioni specificamente dedicate all’argomento. Naturalmente, alcune raccomandazioni generali possono essere applicate utilmente nei giocatori con o senza comorbilità psichiatrica: facilitazione dell’accesso ai servizi, lotta allo stigma, identificazione e diagnosi accurata, assessment e valutazione della gravità, personalizzazione del programma terapeutico, psicoeducazione e informazioni corrette sull’azzardo, trattamenti cognitivo comportamentali, prevenzione delle ricadute e supporto ai familiari, monitoraggio del percorso trattamentale e infine, quando necessario, forte collegamento con i servizi di salute mentale e modello integrato di erogazione dei trattamenti (NICE, 2025).

Si può notare che l’approccio sopra richiamato è sovrapponibile alle strategie utilizzate nei trattamenti delle dipendenze chimiche. E in effetti appare razionale sostenere che, in mancanza di studi specifici, le strategie utilizzate per le dipendenze chimiche possano fungere da modello per i trattamenti del DGA, anche nel caso di associazione con altri disturbi mentali dal momento che il profilo epidemiologico della comorbilità appare assai simile nelle due condizioni (Petry, 2002). La letteratura sulla comorbilità nelle dipendenze chimiche è molto ricca, ed esistono da tempo linee guida e raccomandazioni (si vedano ad esempio Minkoff & Cline, 2004; CSAT, 2006; SAMHSA, 2005; SAMHSA, 2020). I seguenti principi sono stati ormai integrati nelle prassi cliniche: 1) la comorbilità psichiatrica è la regola e non l’eccezione; 2) non esistono trattamenti specifici per la comorbilità, ma è necessario modificare e saper adattare i trattamenti tradizionali; 3) ai fini del trattamento, sia la dipendenza che la patologia mentale vanno considerate come primarie; 4) gli interventi vanno personalizzati sulla base dei bisogni di salute emergenti dall’assessment iniziale o sviluppati nel corso del trattamento; 5) va assicurata integrazione e continuità della gestione terapeutica anche attraverso episodi multipli di trattamento (Minkoff, 2001; CSAT, 2006).

La presenza di comorbilità psichiatrica chiama in causa la qualità della collaborazione tra i servizi del dipartimento per le dipendenze e quelli del dipartimento di salute mentale. È ben noto che lavorare con pazienti molto disturbati sul piano psichico e comportamentale è un fattore di rischio per problemi di relazione tra operatori, sia appartenenti alla stessa equipe che a due differenti. Si consideri che negli ultimi trent’anni del secolo scorso gli psichiatri a indirizzo psicodinamico hanno molto dibattuto sul transfert e controtransfert nella relazione con i pazienti con disturbi mentali gravi e sull’impatto di questi sulle dinamiche dell’equipe curante. Si vedano ad esempio gli scritti di Searles, Kernberg, Rosenfeld, Racker, solo per citarne alcuni. Punti usualmente molto dibattuti tra le equipe sono: la correttezza della diagnosi, la titolarità della presa in carico, la suddivisione dei livelli di competenza tra servizi, l’utilizzo delle strutture residenziali e del ricovero ospedaliero, la gestione delle urgenze. Allo scopo di meglio precisare i rispettivi ambiti di competenza e il livello di assistenza, viene raccomandata la classificazione dei pazienti con doppia diagnosi all’interno di un modello a quadranti organizzati sulla base dei livelli di gravità della dipendenza, da un lato, e della malattia mentale, dall’altro. Ne risultano quattro differenti gruppi/quadranti (gravità bassa/bassa; bassa/elevata; elevata/elevata; elevata/bassa) (SAMHSA, 2020); all’interno di ognuno di essi possono essere quindi definite a priori le relative competenze, gli interventi raccomandati, le indicazioni ai trattamenti in regime residenziale, e altri elementi che si ritengano utili alla pianificazione concordata dei programmi terapeutici. Naturalmente ogni operatore dovrebbe aver ben presente non solo che dipendenze e malattie mentali richiedono competenze, approcci e attitudini sensibilmente differenti, ma anche che i servizi di salute mentale e quelli per le dipendenze devono rispondere a mandati sociali distinti, cui conseguono normative e organizzazioni diverse.

Al fine di facilitare l’accesso ai servizi, la compliance e la continuità terapeutica, sarà essenziale favorire al massimo grado l’accoglienza del paziente pur quando perviene a operatori non primariamente competenti (principio del “nessuna porta è sbagliata”). I successivi contatti andranno parimenti facilitati, anche attraverso collegamenti da remoto (CSAT, 2006). Inoltre andrà valutato attentamente l’obiettivo terapeutico più realistico per il singolo utente, che non sempre coincide con l’astensione completa dal gioco. La limitazione dei comportamenti di gioco e dei problemi economici accompagnata da un buon compenso psichico e il recupero di un sufficiente adattamento sociale potrebbero rappresentare un obiettivo più che legittimo e desiderabile (Echeburua, et al., 2017a). Andrebbe adottata una prospettiva di recovery: benché questo concetto resti ancora in parte indefinito, esso ha a che fare con l’esperienza di soddisfazione soggettiva del paziente, con la minimizzazione dei sintomi, con il raggiungimento di un migliore adattamento e un più attivo ruolo sociale e relazionale (Slade, 2014), piuttosto che con la mera astinenza dal comportamento di gioco.

Facendo riferimento alle raccomandazioni esistenti nella letteratura delle dipendenze chimiche comorbili (SAMHSA, 2020), appare infine necessario: 1) porre attenzione alle misure di protezione sociale e di reinserimento sociolavorativo dei pazienti con grave disturbo mentale (e in questo senso gruppi di auto-mutuoaiuto e servizi socioassistenziali possono avere un ruolo prezioso; 2) garantire, laddove possibile e opportuno, il coinvolgimento e supporto familiare; 3) assistere il paziente grave anche nelle sue problematiche quotidiane (abitazione, trasporti, rapporti con il medico di medicina generale e le varie amministrazioni pubbliche o enti, eccetera). Infine, benché manchino ricerche specifiche riguardo al DGA, un trattamento psicodinamico supportivo appare indicato nei giocatori con vulnerabilità emotiva (Bellio, 2022; Mooney et al., 2019).

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